Un paio di mesi fa volendo trovare un argomento che avesse uno sguardo proiettato al futuro, ho pensato di domandare ai vari ospiti presentati durante il corso di Shopper Marketing tenuto dalla Professoressa M.G Cardinali come immaginano il settore in cui operano tra 10 anni.
Che voi siate dei nostri lettori abituali o meno (se così non fosse ve lo consiglio vivamente!) noterete come questo articolo sia così distante da ciò che stato scritto dai miei colleghi ma anche da me.
Questo articolo affonda le sue radici nella mia curiosità. Il fatto di chiedere una proiezione su un futuro prossimo – non vicino ma neanche estremamente remoto- ha fatto immedesimare gli intervistati senza richiedere enormi fatiche alla loro immaginazione.
Nonostante la distanza ho percepito che la domanda sorprendeva gli ospiti e questo metteva, almeno all’inizio, in difficoltà a chi l’ascoltava perché si focalizzava su qualcosa che difficilmente si riesce a controllare: il futuro.
Avere una visione spostata di una decade porta a ragionare come un architetto in fase di progettazione che deve pensare a quali saranno i bisogni delle persone che andranno ad abitare quello spazio, deve lavorare anche di immaginazione e su variabili casuali che possono cambiare i trend in poco tempo. Pensate a come il coronavirus abbia modificato il concetto di casa che è passato da essere sempre più un semplice punto dove rincasare a punto focale della vita personale, lavorativa, diventando addirittura la nostra palestra, la nostra biblioteca, il nostro ufficio. Si è passati da pensare a case senza la cucina a rivalutare la necessità di avere uno spazio verde o una quinta parete, ovvero la terrazza, in pochi mesi. E nessuno lo avrebbe potuto ipotizzare a meno che non fosse Marty McFly e ci trovassimo in Ritorno al futuro!
Scendendo dalla Delorean e tornando a noi, i tre insight che si sono ripetuti in questi mesi sono stati principalmente 3:
- Personalizzazione e segmentazione
- Empatia e socialità
- Digitalizzazione
PERSONALIZZAZIONE E SEGMENTAZIONE
Quello che emerge in questo momento storico, e che sarà sempre più forte come trend nel futuro, è che il consumatore vuole sentirsi nello stesso momento unico e universale, vuole essere un unicum nella società ma vuole comunque essere riconosciuto dal gruppo di appartenenza.
Questo ha portato ad una comunicazione diversa, definita one to one, che risulta essere personalizzata per ciascuna persona come, per esempio, Netflix che, con miniature personalizzate, diventa come un nostro amico che conosce i nostri gusti e ci consiglia quello che dovremmo vedere.
Come abbiamo visto nell’inside su Andrea Soldani di GSK le aziende si stanno focalizzando sempre di più sul cliente arrivando ad una vera e propria customer centricy.
Si cerca di creare una relazione tra persone e brand e questo nei prossimi 10 anni vedrà un’ulteriore estremizzazione visto che si cercherà di andare oltre il concetto relazionale e i brand cercheranno di diventare delle “case” dove i propri clienti, riprendendo le parole di Morgenstern, possano sentirsi compresi e capiti.
I brand si devono adattare a questi bisogni del consumatore e la sfida sarà quella, sempre di più, di comprendere i momenti di journey rilevanti per il cliente e non focalizzarsi sui propri.
Dalle parole dei nostri ospiti ho potuto capire come i brand si stanno trasformando in delle sorta di “registi” che hanno il compito di gestire e indirizzare il consumatore. Si può dire che il consumatore come lo intendiamo oggi è destinato a scomparire lasciando spazio, per rimanere ancora su un gergo cinematografico, al “consum-autore” e al “consum-attore” dove il primo sarà la personificazione della ricerca di unicità mentre nel secondo si troverà il bisogno di universalità e di comprensione da parte del gruppo.
EMPATIA E SOCIALITA’
Le aziende nei prossimi 10 anni non possono limitarsi ad essere delle semplici produttrici di prodotti/servizi ma devono avere anche una componente intangibile, ovvero devono diventare delle creatrici di esperienze per le persone.
Ho usato la parola “persone” e non consumatori/clienti perché le imprese puntano, e punteranno, sul fatto di essere riconosciute come parte integrante della società. Per fare questo, vediamo sempre più progetti non finalizzati al profitto ma fatti per migliorare la condizione della comunità sia attraverso progetti di sensibilizzazione come, per esempio, A small section of the world (https://www.tradecommunity.it/2021/02/branded-entertainment) oppure progetti che si focalizzano sul tessuto urbano come ha fatto Brunello Cucinelli con il teatro costruito a Solomeo.
Queste iniziative rivolte verso il sociale però potrebbero essere messe in atto/intraprese anche solo per ripulire la propria immagine aziendale e non per il più nobile scopo di promuovere il benessere della comunità, un po’ come quando da piccoli si aiutava i genitori in casa solo per paura di essere messi in punizione!
DIGITALIZZAZIONE
A causa della pandemia Covid-19 la nostra normalità è stata ampiamente stravolta e, tra le altre cose, si è potuta osservare un’accelerazione nel percorso di digitalizzazione.
Mi avevano colpito le parole di Francesco Avanzini, direttore generale di Conad, che aveva detto al Marketing & Retail Summit che la pandemia aveva fatto arrivare il nostro paese ad un livello di digitalizzazione che si prospettava di avere, pre covid, tra 30 anni!
Ed è probabilmente per questa forte accelerazione che tutti gli ospiti hanno inserito questo insight nella loro idea di futuro.
Ma quale problema, secondo me, si potrebbe riscontrare?
Innanzitutto, credo che anticipare così velocemente il percorso di innovazione digitale possa avere l’effetto di bruciare le tappe e non far arrivare a pieno, o almeno non del tutto, l’obiettivo e che quindi la gente possa essere non pronta del tutto a questa transizione. È un po’ come nelle relazioni, quando si bruciano le tappe si entra in un territorio molto complicato che può rovinare un qualcosa che con il giusto tempismo sarebbe stato nettamente migliore.
Un altro problema è che ci si focalizza molto sui numeri e poco sull’Uomo! Si parla di Rinascimento Digitale dimenticandosi però che il periodo rinascimentale era caratterizzato dalla cultura umanistica dove la persona era messa al centro dell’ambiente.
Lo so, queste ultime tre righe sono in antitesi con quanto detto precedentemente ma penso che il consumatore, anzi la persona, non sia effettivamente messa al centro e nelle parole dei vari ospiti ho visto più una speranza che un’effettiva realtà.
La mia speranza per i prossimi 10 anni è che ci sia una umanizzazione dei dati perché quest’ultimi in natura sono vuoti, sono come una fotografia della realtà, ma non la realtà! Prendendo spunto dal Manifesto Human Data dell’information designer, Giorgia Lupi, si dovrebbe cercare di creare un’architettura di visualizzazione che consenta di trasformare il numero in informazione e l’informazione in conoscenza; i dati non dovrebbero essere considerati interessanti solo quando aggregati ma ci dovrebbe essere una comunicazione tra big e small data, una convivenza da cui si possano ricavare storie diverse: da una parte aggregate e dall’altra personali!
Articolo a cura di: Adriano Giugia