A PROPOSITO DI VISUAL MERCHANDISING
Questo inside partirà dalla fine, dal ringraziamento di tutta la TC a Cristina Pisani per la sua incredibile disponibilità e la passione verso il suo lavoro, una passione concreta che si percepisce in ogni sua parola! Siamo rimasti molto colpiti dal fatto che, nonostante fossimo dei semplici studenti, ad ogni nostro intervento o domanda Cristina prendesse appunti; ciò è frutto che la voglia di apprendere non si esaurisce una volta usciti dall’università e, come detto anche da lei, la passione paga!
Lo sappiamo che non si dovrebbe mai iniziare dalla fine perché sarebbe come partire dal dessert per poi arrivare agli antipasti, ma questo inside sarà proprio come un pranzo pazzo in cui si passa da una portata all’altra non seguendo un filo logico, o almeno così apparentemente.
Buona lettura!
BRODO A BASE DI VISUAL MERCHANDISING
Cerchiamo di chiarire quali sono gli ambiti di azione del Visual Merchandising.
Specialmente nell’ultimo anno, il consumatore è cambiato e le aziende sono entrate nell’ottica di vendere “esperienze”. Questo le ha spinte a cambiare le modalità con cui comunicano i loro prodotti.
Sicuramente lo shopper è al centro di tutte le scelte strategiche perché l’obiettivo ultimo è fargli vivere un’esperienza gratificante di visita, di acquisto e di consumo. Anche in un’ottica di visual sarebbe auspicabile un’integrazione tra canali diversi perché il cliente vuole vivere un’esperienza fluida di tutti i touch points.
È importate però che lo spazio fisico si intrecci con quello digitale. Lo stesso tema, appeal e facilità di movimento e interazione che il consumatore riscontra nello store fisico deve essere trasferito, per esempio, al sito web, in un’ottica di acquisto online. Questo è un altro compito dell’ufficio visual che deve riuscire a creare quella omnicanalità che il consumatore cerca.
Gli shopper richiedono nella propria esperienza un contesto di creatività aperta ad alta velocità e le aziende devono accettare questa dissolvenza tra i vari comparti per non dissolversi, tenendo però sempre ben a mente il concetto di coerenza.
Quando si sceglie di abbracciare un tema, questo dovrebbe essere compreso dal cliente tramite l’utilizzo sia della vetrina che della disposizione in store e tutto, dalla grafica al packaging, dovrebbe essere inerente al tema. Non ci sono però regole fisse! Infatti, durante l’allestimento della vetrina si può scegliere di mettere in secondo piano il prodotto rispetto alla scenografia e alla ricchezza della stessa e all’interno, per esempio, si possono sfruttare le zone fredde e quelle calde andando a inserire delle isole.
Non possiamo scordarci che l’ufficio di visual merchandising non è l’unico che entra in gioco perché ogni idea o iniziativa deve essere condivisa con tutte le area aziendali in ottica di continuità e coerenza.
Inoltre dobbiamo richiamare i concetti di identità e immagine aziendale. L’identità è ciò che un’azienda dice di essere, mentre l’immagine è quello che i clienti ricevono, sia in ambito fisico che in ambito digitale. A seconda della grandezza dell’azienda, ci sono più aree da coordinare e con cui interfacciarsi. Questo può aumentare la complessità del lavoro svolto dal visual merchandiser ed è proprio il caso di Cristina Pisani che, in quanto consulente, deve interfacciarsi con tutte le divisioni.
TAGLIATA A BASE DI VISUAL MERCHANDISING
Analizziamo però quali sono le competenze richieste della disciplina del Visual Merchandising. Esse spaziano andando dalla sensibilità nei confronti del prodotto e del senso estetico, all’analisi dei dati perché tutte le idee creative hanno poi un riscontro numerico, anche a livello spaziale.
Importantissimo, dunque, il ruolo della contaminazione che mette al servizio un’esperienza grazie al lavoro di gruppo perché le competenze sono diverse, complementari e sono tutte importanti.
Dobbiamo avere l’attitudine a fare azioni di rimando, anche se ci si trova davanti a prodotti banali.
Durante la presentazione, Cristina ha portato come esempio il lavoro di un duo olandese, Lermert e Sander, che ha realizzato un film per COS, ‘The sound of COS’, in cui gli artisti riproducono i suoni della produzione degli abiti ma con altri oggetti come, per esempio, una palla da basket o un ombrello e così via. Quest’azione di rottura ci fa capire come anche gli oggetti banali abbiano un’anima e possano essere usati per mandare un messaggio non banale.
Secondo la nostra personale opinione, questo è il punto di arrivo di un percorso iniziato vari decenni fa con il Bauhaus e il suo progetto di creatività totale che voleva abolire le gerarchie tra i media e i linguaggi, portato avanti poi nella Factory di Andy Warhol e la sua attenzione alle cose banali e quotidiane come una scarpa, una bottiglia di Coca Cola o una pagina del giornale, senza dimenticare per esempio, l’importanza in questo ambito del Gruppo Memphis e il suo obiettivo di dare dignità e importanza a materiali prima non considerati o, per l’appunto, considerati banali.
La storia dell’arte e la cultura visiva è fatta di continue azioni di rimandi. Queste azioni, attraverso una narrazione, ci aiutano a rimandare oggetti a simboli come, per esempio, le piume con la leggerezza. La capacità di interpretare il messaggio non verbale è estremamente stimolante e noi possiamo capire questi messaggi solo educandoci al dato visivo!
La bellezza, infatti, è intorno a noi, ma siamo noi che dobbiamo saper coglierla.
Va infine detto che un altro aspetto fondamentale del visual merchandising è che permette di vendere idee e non soltanto prodotti!
SIMMETRIA ED EQUILIBRIO NEL VISUAL MERCHANDISING
Nella comunicazione visiva è importante ricordare che noi guardiamo l’insieme e quindi lo scaffale nella sua totalità e non il singolo prodotto; non possiamo non considerare tutto il contesto che gira attorno al prodotto perché il consumatore si muove, osserva, rileva.
Al posto delle parole usiamo i simboli, le immagini che organizziamo in schemi avvalendoci delle regole della configurazione spaziale che sono dei principi che ci consentono di rendere accessibile e visibile un prodotto. Se noi gestiamo meglio la geometria e lo spazio, riusciamo, a parità di pezzi (n. di prodotto), ad essere più leggibili, dove rendere leggibile l’offerta vuol dire verticalizzare, accorpare forme simili, ecc.…
Il visual merchandising si avvale anche della simmetria e dell’equilibrio. Non sono di meno la triangolazione (esplicita o meno) e il ritmo, il quale ha una grande capacità informativa ma si porta dietro noiosità e monotonia. Ecco perché bisogna rompere il ritmo, ma non troppo perché poi diventa confusione.
Altro tema interessante è il controllo della casualità. Emblematica è la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto (vedi immagine sopra), artista biellese che è riuscito a coniugare la bellezza classica di una statua, posizionata volutamente di spalle rispetto l’osservatore, e la casualità degli stracci, che creano una bellissima triangolazione. Quest’opera è spesso itinerante e la sua particolarità è che la triangolazione resta valida, pur cambiando gli stracci! C’è quindi una parte di casualità che va sempre controllata.
È importante gestire tutto l’insieme ma il visual è legato al prodotto ed è quest’ultimo che detta legge ai fini espositivi!
SIGNIFICANTE VS SIGNIFICATO, IL CUORE DELLA SEMIOTICA
Il segno è, sia dal punto di vista verbale che non verbale, la parte più piccola del linguaggio ed è composto da due parti che sono la forma, ovvero il significante, e il contenuto, che è il significato. La prima si concentra sulla parte concreta del segno mentre il secondo si focalizza sull’anima astratta.
Più noi dialoghiamo con il visivo e più educhiamo quegli aspetti del nostro sistema percettivo ed interpretativo in modo adeguato.
Il significante è quello che i nostri organi di senso riescono a leggere e quindi è qualcosa di assolutamente oggettivo.
Le immagini qui sopra, discusse durante la testimonianza, le possiamo vedere dando due tagli diversi alla nostra visione. Il primo approccio ci consente di esprimere un giudizio principalmente incentrato sull’immagine che siamo osservando; il focus è sulle differenze oggettive tra i vari cuori, e vengono sfruttate principalmente le nostre conoscenze puramente sensoriali. Potremo dire che differiscono per forma, colore e, l’immagine fosse reale, potremo usare gli altri nostri sensi (magari converrebbe usare un oggetto e non un organo vitale) e le differenze che andremmo ad evidenziare sarebbero oggettive.
Il secondo approccio, invece, è incentrato sulla soggettività di quello che stiamo osservando e sentendo; utilizza gli occhi, ma non si ferma all’aspetto esteriore piuttosto guarda all’interno dell’oggetto e il significato che ne deriva è puramente soggettivo e quindi unico!
BIS DI DOMANDE A CRISTINA PISANI
Come riuscire ad andare incontro alle esigenze dell’azienda senza snaturare la propria idea e quindi la propria creatività?
“Innanzitutto, bisogna dire che il discorso cambia se si è stati chiamati perché se così fosse si avrebbe il cosiddetto “coltello dalla parte del manico” e quindi una più ampia libertà di movimento. È importante conoscere il proprio interlocutore per comprendere l’essenza. Un fattore che viene spesso sottovalutato è lavorare, già in fase preliminare, ad una reportistica sul punto vendita così da arrivare all’incontro con i punti di forza ma soprattutto conoscendo i punti di debolezza e potendo pensare a delle possibili soluzioni.”
Che libri consiglierebbe?
“Un libro che consiglio spesso è “Da cosa nasce cosa” di Bruno Munari che dice che pensare è una metodologia. È molto importante avere un approccio multidisciplinare perché la coralità porta a trasferire delle competenze e ad arricchire il proprio bagaglio culturale che poi può anche essere speso in ambito lavorativo.”
Articolo di: Adriano Giugia e Elena La Barbera