Il Regno Unito rappresenta uno dei mercati più interessanti in molti settori, dalla finanza al mondo della tecnologia e delle startup, e ciò vale anche per il retail.
Non sono poche le occasioni in cui trend d’oltremanica abbiano avuto impatto sul contesto italiano ed europeo ed abbiano modificato il modo di soddisfare ed esplorare i bisogni dei clienti. Si tratta dell’introduzione delle tecnologie informatiche e dell’e-commerce nel business model aziendale, dell’attenzione alle nuove esigenze della popolazione, via via più anziana ed attenta alla salute e ai cibi di qualità, al servizio veloce, affidabile e on-the-go.
A sottolineare le differenze esistenti fra la realtà commerciale che fronteggiano le nostre insegne ed aziende rispetto a quelle inglesi può bastare qualche dato relativo al commercio online. Questa modalità di acquisto, che si presenta come una delle principali direttrici dello sviluppo commerciale dei prossimi anni, è molto diffusa fra i cittadini anglosassoni, infatti il 96% della popolazione (pari a 67 milioni) la utilizza ogni anno; questo dato scende al 62% in Italia (che conta una popolazione di 60 milioni di persone). Anche osservando il valore complessivo del mercato risulta facile comprendere l’imponenza di questo trend e cosa ci si può aspettare avvenga sul suolo italiano negli anni a venire; la spesa in e-commerce b2c in Italia si attesta infatti sui 40 miliardi annui, rispetto ai 200 miliardi spesi dalla popolazione inglese. Insomma, l’e-shopper italiano spende in media un quinto di quanto si spenda oltremanica.
Una differenza così spiccata deriva da numerosi fattori come abitudini di acquisto, cultura e alfabetizzazione digitale, struttura e concentrazione del mercato, urbanizzazione e digital divide che influenzano le scelte e le possibilità di acquisto e che inducono il consumatore italiano a spendere di meno o a considerare altre alternative per l’acquisto di beni e servizi (anche se tale condizione sembra ostacolare in misura minore alcuni settori come tecnologia, abbigliamento e viaggi).
Se il consumatore inglese spende così tanto online, quali piattaforme soddisfano le sue esigenze?
Oltre le piattaforme come Amazon ed Ebay che dominano molti mercati (in UK collezionano rispettivamente 446,5 e 355,5 milioni di visite annuali), a contendersi la spesa degli inglesi ci sono Asos, specializzata in abbigliamento e cosmetici, con 54,3 milioni di visite, Argos, portale di Sainsbury’s dedicato agli elettrodomestici e alla tecnologia (51,2 milioni), e a seguire i principali retailer inglesi: Asda (25,6 milioni), Tesco (25,5 milioni) e Mark & Spencer (23,7 milioni).
Le performance online rispecchiano anche la dimensione e la rilevanza di queste ultime insegne sul suolo inglese a livello di negozi fisici. I primi tre retailer inglesi sono infatti Tesco, Sainsbury’s e Asda con un fatturato rispettivamente di 39 miliardi, 28 miliardi e 22 miliardi di sterline.
Dunque, esclusi i big player del commercio via Internet globale, le performance online ed offline delle insegne anglosassoni risultano coerenti ed offrono al cliente un ecosistema in grado di spingerlo verso una esperienza omnichannel, senza alcuna interruzione fra acquisto in store e via web.
In un mercato concentrato come quello inglese la concorrenza fra le insegne è comunque piuttosto spiccata e causa di un costante dinamismo. Fece notizia, poco più di un anno fa, l’accordo fra Sainsury’s e Asda per una fusione che avrebbe generato un gruppo con il 30% di quota di mercato e che avrebbe scalzato Tesco quale leader di mercato. Un’operazione da 7,3 miliardi di sterline bocciata dall’Antitrust britannico proprio per l’impatto che quest’ultima avrebbe avuto sulla convenienza per il consumatore, con un possibile aumento dei prezzi online ed in store. Ciò non archivia totalmente il discorso in quanto la leadership di mercato è in costante determinazione e deriva sempre più da fattori differenti e da canali differenziati, rendendo il contesto retail uno dei più affascinanti in assoluto.
Creato da Flavio Adriano Iervolino.