La progressiva riduzione negli anni della disponibilità economica delle famiglie ha prodotto dei cambiamenti nei comportamenti di consumo e nelle scelte di spesa, per esempio una minor propensione ai consumi voluttuari che ha avuto riflessi negativi anche sui consumi fuori casa.
Tuttavia, non dobbiamo trascurare il crescente trend di richiesta di servizi commerciali time-saving, fondamentali per soddisfare bisogni di tempestività e riduzione dei tempi di acquisto e consumo. Basti pensare ai servizi di self scanning, alle casse veloci, ma anche ai prodotti ricchi di servizi offerti dall’IDM e dall’MDD come i piatti già pronti e la gastronomia!
Un mix di servizi che ovviamente fa lievitare il livello medio dei prezzi della categoria del punto vendita, senza conseguenze negative per i brand industriali e per le insegne commerciali!
Infatti, possiamo assistere a notevoli incrementi dei consumi a valore delle famiglie italiane.
Nel mese di dicembre 2022 il fatturato della distribuzione totale in Italia mostra un andamento positivo del +10,9% rispetto all’anno precedente, con un giro d’affari pari a 13,9 miliardi di euro.
In questo contesto, a dicembre 2022 l’inflazione teorica nel Largo Consumo Confezionato (LCC), si attesta al +15,1%, in risalita rispetto al valore annuale. Dall’altra parte, il mix del carrello della spesa degli italiani ha comportato una riduzione pari all’1%, con una variazione reale dei prezzi del 14,1%. È quanto emerge dall’analisi “Lo stato del Largo Consumo in Italia” <<NielsenIQ>>.
Ma quindi, l’impetuosa crisi economica che sta investendo le tasche delle famiglie italiane e ne sta riducendo progressivamente il potere d’acquisto, è realmente un problema?
Perché lo shopper moderno acquista prodotti ricchi di servizi pur sapendo che costano di più? Forse non è poi così drastico l’incremento del caro vita?
Nella letteratura del Marketing questo fenomeno prende un nome specifico: Polarizzazione dei consumi.
Cosa intendiamo per polarizzazione dei consumi?
Suddividendo un dato mercato rilevante, come ad esempio quello degli snack salati, in 3 fasce prezzi:
- Premium: San Carlo;
- Mainstream: Lay’s;
- Value: PAI.
Se in passato, posto pari a 100 le vendite della categoria delle patatine il mainstream rappresentava almeno l’80% del mercato mentre le due estremità delle scale prezzi erano molto sottili, quasi delle nicchie di mercato. Oggi si assiste ad un ridimensionamento del segmento centrale (mainstream) della scala prezzi a favore del segmento Value e del segmento Premium.
Ciò comporta conseguenze sia per i Retailer che per i Brand industriali:
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Mettendoci il cappello del retailer il principale quesito che ci sorgerà in mente sarà:
Dovremmo focalizzarci in formati generalisti che trattano tutte le diverse fasce prezzo per le varie categorie merceologiche presenti nell’assortimento del punto vendita, o sarà più efficiente lanciare nuovi format specializzati nelle fasce prezzo Premium/Value?
Con il passare del tempo abbiamo visto sempre più players focalizzarsi nella seconda opzione, basti pensare a Viaggiator Goloso dell’insegna Unes o ad esempio a Sapori e Dintorni di Conad.
Tuttavia, stiamo assistendo anche ad un rafforzamento del mainstream:
Perché la consapevolezza che ciascun cliente è contemporaneamente nello stesso atto di acquisto Value o Premium, ha spinto molte insegne a riprogettare l’offerta commerciale e la costruzione degli assortimenti commerciali rappresentando tutte le fasce prezzo.
Quindi anche chi aveva un posizionamento focalizzato a un determinato segmento target (ES: Discount) in risposta alla polarizzazione dei consumi ha progressivamente defocalizzato la sua offerta. Ecco perché i discount hanno introdotto la linea premium, così come chi aveva un posizionamento premium ha introdotto la linea Value per soddisfare più segmenti target.
Ovviamente dar vita ad una nuova Retailer Customer Experience non è un gioco da bambini, proprio per questo motivo i retailer più deboli da un punto di vista economico-finanziario prediligono operare investendo sulla dimensione operativa: Manovrando le leve del retail mix, intervenendo ad esempio a livello di assortimento, razionalizzando il segmento mainstream dando maggior spazio assortimentale alle referenze appartenenti agli estremi delle fasce prezzo.
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Al contrario mettendoci il cappello dell’IDM una possibile soluzione a questo problema potrebbe essere quella di riposizionare il brand in una nuova fascia prezzo, oppure dar vita ad un nuovo brand che opera in una fascia prezzo più redditizia.
Basti pensare al caso del famosissimo brand, che opera nella categoria degli snack salati, San Carlo.
Il quale ha cercato di presidiare, con brand diversi, più segmenti di mercato.
Per far fronte alla problematica della polarizzazione dei consumi, ha messo in atto notevoli investimenti in marketing per riposizionare il brand da una fascia prezzo Mainstream ad un posizionamento Premium, basti pensare al trading-up del Packaging che mette in risalto l’elevata qualità organolettica del prodotto, ed alle rilevanti collaborazioni con chef stellati al calibro di Carlo Cracco!
Ovviamente la San Carlo non si è fermata qui! Perché limitarsi ad operare solo nella fascia Premium e perdersi il notevole incremento della quota di mercato a volume della fascia Value?
Infatti, il brand PAI, che è di proprietà dell’azienda San Carlo, è una marca di sbarramento che ha un posizionamento Value, rivolgendosi ai consumatori che esprimono bisogni di consumo edonistici e che ricercano prezzi competitivi.
E tu noti qualche discrepanza nel tuo comportamento d’acquisto, per quale categoria merceologica sei uno shopper Premium e per quale uno shopper Value?
Articolo di Filippo Morena