Giovedì 30 marzo noi studenti del primo anno del corso di Trade e Consumer marketing, durante la lezione di Shopper marketing abbiamo avuto l’occasione di ascoltare la testimonianza del Vicepresidente di Ipsos Carlo Oldrini e di Sara Molteni Executive Researcher Ipsos grazie alla quale abbiamo avuto la possibilità di approfondire molti aspetti in merito al funzionamento delle ricerche di mercato in particolar modo le ricerche cosiddette “shopper”.
Cos’è IPSOS?
Ipsos è un’azienda leader di ricerche di mercato che opera in oltre 90 paesi. In Italia, si occupa ogni anno di oltre 1500 progetti di ricerca per questo Carlo Oldrini, Vicepresidente Ipsos Italia, la definisce “un’industria dell’informazione”.
Ma che cos’è una ricerca di mercato? Una ricerca di mercato è una raccolta organizzata e sistematica di dati che serve per capire cosa avviene o cosa potrebbe avvenire in un determinato mercato. Le ricerche si dividono per convenzione in due grandi famiglie:
- le ricerche su panel: ricerche in cui si raccolgano continuativamente informazioni su certi mercati;
- le ricerche su survey: ricerche preparate ad hoc che servono per risolvere un determinato problema odierno o che potrebbe scaturire in futuro attraverso l’osservazione di campioni.
Ipsos in particolare, svolge ricerche su survey. La raccolta dei dati avviene attraverso l’intervista di un campione di consumatori oppure attraverso l’osservazione diretta la quale, permette di cogliere anche ciò di cui il consumatore non si accorge o di cui non è consapevole. Scommetto che se ti chiedessi alla fine della tua spesa quotidiana quali sono i prodotti che non hai visto o che non hanno attirato la tua attenzione non sapresti rispondermi! Ecco, da qui l’importanza dell’osservazione!
Le ricerche shopper
Attraverso le ricerche cosiddette “shopper”, Ipsos ha come obiettivo quello di osservare e conseguentemente analizzare il comportamento del consumatore all’interno del punto vendita.
Durante questa tipologia di ricerca, infatti, ai clienti reclutati in punto vendita, viene richiesto l’utilizzo di occhiali “eyetracking” al fine di tracciare e conseguentemente interpretare il loro comportamento durante tutta l’attività di spesa e quindi: cosa guardano, per quanto tempo, cosa mettono nel carrello, cosa prendono ma poi decidono di riporre sullo scaffale e via dicendo.
Uno degli output principali dell’eyetracking è l’heat map ovvero sia una mappa che permette di capire ad esempio, quali solo i punti caldi dello scaffale e cioè dove si focalizza maggiormente l’attenzione dello shopper.
Perché si fanno?
8 volte su 10 un prodotto lanciato nella distribuzione moderna non sopravvive più di 12 mesi. Dal 2010 al 2017 infatti, le innovazioni sono più che raddoppiate ma quelle di successo sono passate dall’1,9 all’1,3 e questo perché il consumatore non vede l’innovazione sullo scaffale; spesso infatti l’errore che viene commesso dal retailer è quello di presentare un eccesso di offerta che anziché aiutare il consumatore, lo mette in difficoltà; in linea di principio i display dovrebbero orientare e semplificare le scelte dei consumatori selezionando i prodotti e le referenze in nome e per conto dei clienti del punto vendita spesso però questo non avviene.
Ed è proprio attraverso le ricerche shopper ovvero sia ricerche che misurano l’efficacia dei touchpoint e dei materiali utilizzati nei negozi per ottimizzare gli allestimenti in modo che nessuna opportunità di vendita venga persa che una marca può migliorare la sua performance in punto vendita.
Le principali domande alle quali rispondono le ricerche shopper:
- La categoria è facile da comprendere?
- Il mio prodotto si vede?
- Il mio prodotto attira l’attenzione?
Le ricerche in laboratorio
Grazie ai due laboratori Ipsos, presenti a Bari e a Milano, Ipsos aiuta le aziende e i retailer nel lancio di nuovi prodotti, cambi pack e ricerche sul planogramma.
Questi laboratori, infatti, che sono dei veri e propri supermercati in miniatura, permettono di osservare il comportamento del consumatore all’interno di uno spazio che seppur artificiale, ricrea fedelmente le condizioni e le logiche di un supermercato reale (ci sono i prezzi, le casse i rumori ecc), dando la possibilità alle aziende di testare nuovi prodotti o packaging prima di inserirli nei supermercati.
Come funziona uno studio in shopper lab?
- Reclutamento dei “consumatori” per via telefonica;
- Missione di acquisto: i consumatori indossano gli occhiali “eye tracking” e iniziano la loro spesa sulla base della missione d’acquisto (lista della spesa) che gli viene conferita;
- Intervista: in cassa il consumatore risponde a delle domande (es: “Hai esplorato facilmente la categoria?” “Hai notato dei cambiamenti?”);
- Questionario diagnostico: compilano un questionario.
Le ricerche instore
Per quanto riguarda le ricerche inshop invece, queste permettono di misurare le attivazioni instore, gli scaffali, ma anche le vetrine e cioè permettono di capire, ad esempio, se le esposizioni all’interno di queste ultime funzionano: se vengono viste, per quanto tempo, da quante persone.
In particolare, le ricerche inshop permettono di capire come ottimizzare la categoria, se ci possono essere delle adiacenze (ovvero sia categoria che, stando vicine, si aiutano a vendere di più) e come gestire l’impulso.
Gli strumenti principali sono i seguenti:
- Contapersone: permettono di quantificare il traffico ovvero sia le persone che passano in una determinata corsia;
- Eye-tracking passivo: telecamere all’interno degli store che permettono di misurare la visibilità, l’engagement e di rilevare lo shopper profile;
- Dati forniti dal retail: dati di vendita;
- Dichiarazione degli shopper.
Curiosità
Gli incontri con i professionisti del settore sono anche opportunità per condividere dubbi curiosità interrogativi e chi meglio di loro può rispondere ai nostri quesiti? Ne menzioniamo alcuni:
Dal momento che in laboratorio esponete anche i prezzi dei prodotti, come determinate quale prezzo esporre dato che ogni punto vendita avrà il suo?
Il consumatore fissa il prezzo dopo aver fatto una media di tutti i prezzi presenti nei vari canali.
Data la crescente importanza della MDD, si sta notando un maggiore interesse anche da parte del retail a fare questo tipo di ricerche a livello di marca privata?
Assolutamente sì, infatti, la marca del distributore è un punto chiave per ridefinire i display di categoria; se si continua ad utilizzare la marca del distributore come si faceva una volta mettendo la marca del distributore da un lato e quella di marca industriale dall’altro i consumatori non si ritrovano.
Il fatto di non dover pagare realmente i prodotti in laboratorio incide sulla validità esterna della ricerca, avete riscontrato delle differenze?
No, i consumatori non si ricordano di essere in un laboratorio e i dati rilevati in laboratorio sono infatti molto simili a quelli reali.
Articolo di Giulia Botarelli