Venerdì 28 ottobre 2022 gli studenti del secondo anno del corso di Trade e Consumer Marketing hanno avuto il piacere di accogliere in aula Luisa Vassanelli, Head of Innovation & Contact Partner di ADACTA International. Durante la testimonianza la dott.ssa Vassanelli ha approfondito il metodo del Design Thinking e condiviso con gli studenti alcuni casi di successo di applicazione di tale approccio all’innovazione.
Quando nasce il Design Thinking?
Il metodo del Design Thinking nasce negli anni ’90, nell’Università di Stanford, grazie al contributo di due ingegneri meccanici e si fonda su un presupposto particolarmente interessante: il successo è una scienza che può essere studiata ed applicata.
Questa visione si discosta da quella dei più, che ritengono l’innovazione frutto della creatività e del genio individuali.
Per quali ragioni si ricorre al metodo del Design Thinking?
Oggigiorno la caratteristica principale dei mercati è la velocità; per questo motivo l’innovazione risulta essere un processo ad elevato rischio di fallimento. Sin dalle prime fasi di sviluppo dei nuovi prodotti l’azienda può incontrare delle difficoltà legate alle resistenze interne, ai cambi di management, alla visione di stakeholders che non condividono l’innovazione proposta. Anche nel caso in cui l’impresa dovesse riuscire a superare tali ostacoli, potrebbe riscontrare, quando ormai il processo di sviluppo è stato avviato, dei problemi di fattibilità legati alla scarsa sostenibilità economica del progetto. Come se non bastasse, spesso i prodotti ideati rischiano di raggiungere il mercato troppo tardi, portando l’azienda a perdere i vantaggi del first-mover.
Per rendere il processo di innovazione sostenibile ed efficiente è necessario un metodo operativo che possa anticipare le problematiche che potrebbero insorgere, anche grazie al coinvolgimento di tutti gli stakeholders che verranno impattati dall’innovazione (R&D, canali di distribuzione, addetti alla vendita…) e non solo dei clienti finali. Tale metodo dovrebbe, inoltre, consentire alle imprese di avere accesso ai mercati “matter of fact”, ossia a tutti quei contesti competitivi caratterizzati dalla presenza di elevate barriere all’ingresso legate alle complessità tecnologiche e legislative del prodotto.
Un approccio che ben si adatta alle richieste del mercato è proprio quello del Design Thinking che consente di progettare la trasformazione in modo veloce, minimizzando i rischi, avendo la sicurezza del risultato finale. Si tratta di un processo estremamente inclusivo che origina dalla generazione delle idee e culmina con la creazione fisica del prototipo ideato.
Quali sono le peculiarità del Design Thinking?
Per le aziende che scelgono di ricorrere al metodo del Design Thinking, il raggiungimento di un buon risultato non dipende solo dalla cultura aziendale, che può essere più o meno complessa ed orientata al cambiamento.
Con il Design Thinking le idee si concretizzano grazie ad una visione condivisa e collaborativa. Questa tecnica implica, infatti, la creazione di un gruppo di lavoro che includa tutti i soggetti che verranno impattati dal cambiamento; ciò consente di creare consenso fin dai primi step del processo innovativo, di dar vita a team coesi e fattivi in cui l’analisi dei problemi si combina con le strategie e le azioni da perseguire per assicurare un risultato di successo.
Proprio per questo viene considerato un approccio “human centered” che comprende l’insieme dei processi ragionativi, strategici e pratici attraverso cui la progettazione di soluzioni di prodotto, di comunicazione, di servizio prende vita.
Come si articola il processo di Design Thinking?
Il Design Thinking è un metodo strutturato che vede l’alternarsi di fasi di divergenza, in cui a predominare è la creatività, e di convergenza, in cui l’energia creativa viene incanalata verso soluzioni realizzabili tenendo conto dei vincoli aziendali.
È l’abilità essenziale di combinare empatia, creatività e razionalità al fine di incontrare i bisogni dei consumatori e guidare l’impresa verso il successo. Il processo di innovazione si articola in più step e consente di formulare delle ipotesi e di ideare delle soluzioni partendo da un problema ben definito.
Il Design Thinking nasce come processo iterativo, non lineare e ciclico; pertanto, tornare indietro è uno sviluppo del tutto normale. È possibile individuare cinque fasi fondamentali di seguito descritte.
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Emphatize
Il compito del partner di innovazione è quello di condurre un workshop, durante il quale vengono mappati tutti i soggetti che verranno impattati o che sarebbe opportuno coinvolgere nel percorso di innovazione, si comprende lo specifico linguaggio aziendale e si individuano le ambizioni, gli obiettivi dell’impresa. Infatti, molto spesso il problem holder, a cui è affidato il compito di gestire il processo di innovazione, non ha ben chiare le aspettative, i timori, le ansie e le credenze dell’organizzazione aziendale. È fondamentale tenere conto della vision dell’impresa quando si realizza un processo di innovazione; non si può prescindere dalla conoscenza delle sfaccettature di quest’ultima.
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Define
Bisogna individuare il problema da risolvere, evidenziando i benefici che conseguono alla sua risoluzione. Quindi ,si definisce una roadmap in cui si mettono in relazione le fasi di sviluppo del processo innovativo e le funzioni aziendali o i soggetti coinvolti.
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Ideate
In questa fase si generano delle soluzioni operative attraverso la tecnica del brainstorming ed i workshops svolti online o dal vivo. Tuttavia bisogna tenere in considerazione i limiti individuati nella fase antecedente.
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Prototype
Il gruppo di lavoro disegna o crea dei prototipi sulla base delle idee generate nella fase precedente. Nella fase di prototipizzazione si può ricorrere agli storyboards, che consentono di rappresentare una determinata esperienza di consumo, evidenziando i breakpoints (elementi di frizione) per apportare miglioramenti.
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Testing
In questa fase si testa il prodotto sugli user finali e su tutti gli stakeholders coinvolti mappati nella fase di emphatize.
Il pensiero divergente e il pensiero convergente
La tecnica del Design Thinking, come accennato in precedenza, prevede l’alternarsi del pensiero divergente e del pensiero convergente; ciò permette all’azienda di giungere all’individuazione del problema ed allo sviluppo del prodotto finale.
Il pensiero divergente amplia la visione dei soggetti coinvolti nel processo di innovazione dal momento che consente di raccogliere informazioni, dati e idee e di valutare diverse opzioni, scenari e soluzioni. Si tratta di una fase nella quale bisogna essere completamente aperti, prescindendo da un’analisi critica.
Il pensiero convergente caratterizza, invece, la fase analitica e logica nella quale il materiale mentale generato nella fase precedente viene esaminato criticamente e in cui vengono selezionate le idee e le soluzioni che si vogliono abbracciare (“How might we have?”). Per gestire correttamente questa fase si ricorre a diversi strumenti, tra cui: mappe concettuali, scale di fattibilità, ranking e power dots e… tanti post-it! Per stimolare il pensiero dei soggetti coinvolti nel processo di ideazione la componente ludico-intrattenitiva è fondamentale, poiché facilita la socializzazione e genera empatia, requisito fondamentale per l’innovazione.
Una breve intervista
Prima di cominciare con la testimonianza, la dott.ssa Vassanelli ha acconsentito a rispondere a qualche domanda:
Talvolta le grandi idee disruptive scaturiscono da una visione del singolo e per questo diversi imprenditori di successo, come per esempio Steve Jobs, reputano inutile e persino fuorviante la ricerca di marketing. A tal proposito, secondo lei, per evitare di ricadere nella miopia di marketing ed, al contempo, di soffocare l’innovazione, come dovrebbe avvenire il processo innovativo all’interno delle imprese?
“Bella domanda. È vero che le idee geniali di pochi e le intuizioni sono importanti, ma il potere dell’innovazione sta nella sua capacità di coinvolgere più soggetti. Il modo migliore per costruire un percorso di innovazione è attivare l’intelligenza collaborativa degli stakeholders aziendali e soprattutto degli user dell’innovazione, cioè i consumatori o gli enti finali che ne verranno impattati e che, si spera, ne beneficeranno. Questo perché l’innovazione senza condivisione dei benefici serve a poco. Diventa un puro atto formale che rischia di non avere un vero impatto sulla qualità della vita e sulle esperienze di consumo del target cui è rivolta.”
Per un Innovation Manager quanto contano lo studio e l’esperienza e quanto, invece, l’attitudine e la propensione personale?
“Occuparsi di studi di innovazione è entusiasmante perché le sfide sono spesso differenti. Tuttavia, lo studio è fondamentale. Si può imparare a fare innovazione. Lo scopo di chi si occupa di innovazione in azienda o di ricerca è quello di trarre il meglio dalle persone con cui si interfaccia. Non è necessario essere né innovativi né creativi. È importante però essere in grado di stimolare la condivisione di insights, di spunti ideativi da parte delle persone con cui si lavora.”
Quali sono, secondo lei, i punti di forza ed, eventualmente, di debolezza dell’online market research?
“Purtroppo non sono in grado di dire quali siano i punti di debolezza, secondo me non ne ha. Io vedo solo punti di forza. La connessione online con il mondo dei consumatori è, a mio parere, molto più potente della connessione fra persone. Infatti, permette di entrare nella vita vera delle persone, si fonde con il contesto, con i loro ritmi. Per questo, permette di cogliere degli insight del mercato più vibranti, più forti, più realistici.”
Possiamo quindi affermare che l’online market research è la ricerca etnografica della nuova era digitale?
“Esattamente. L’online market research consente di osservare il consumatore nel suo ambiente naturale. E’ possibile farlo anche con una ricerca etnografica dal vivo anche se, in questo caso, la dimensione dell’influenza che l’osservatore ha sull’osservato è un po’ più forte.”
Articolo di Sofia Laudani