Nonostante l’avvento di nuovi paradigmi come quello tecnologico sembrino concentrare l’attenzione verso un mondo digitale, social e informatizzato, la realtà ci ricorda che lo store fisico, ancora oggi, resta il vero grande punto di contatto tra consumatori e aziende, dove l’acquisto (o comunque l’engagement) si finalizza.
Certo, è importante non generalizzare, ma in tutti quei casi in cui il prodotto continui a preservare il suo valore fisico, materiale e tattile, lo shopper marketing diventa uno strumento indispensabile nell’analisi strategica e implementazione operativa di filiera.
Cos’è lo shopper marketing?
Secondo la US Retail Commission è “l’utilizzo di iniziative di marketing e di merchandising guidate da insight, volte a soddisfare i bisogni degli shopper, migliorare l’esperienza di acquisto e incrementare i risultati di business e la brand equity per distributori e produttori”.
In che modo? Attraverso la comprensione profonda delle motivazioni, dei bisogni e dei comportamenti dei consumatori, mappando i comportamenti e le decisioni di un gruppo di consumatori/shopper dal consumo fino all’acquisto e al post-acquisto.
Warhol e la Pop Art
A metà del ‘900 la popolazione statunitense assistette alla diffusione capillare dei Supermercati, ancora oggi considerati un evergreen distributivo inespugnabile: da allora non abbiamo più assistito ad un’innovazione di format tanto radicale. Il libero servizio si aggiungeva a quella quotidianità che sembrava recitasse in ogni momento e in ogni angolo il mantra “hey, adesso sei un uomo libero”.
Fare la spesa, insomma, divenne l’atto attraverso cui si manifestava l’egemonia di una Nazione. Forse fu quello il momento esatto in cui l’artista americano riuscì a cogliere l’importanza del punto vendita. I prodotti furono elevati ad opera d’arte, poiché come lui stesso sosteneva:
“un supermercato non è diverso da un museo”
Il pensiero di Warhol si basava principalmente sul fatto che il consumo di un’opera d’arte non fosse tanto dissimile dal consumo di un qualsiasi altro prodotto. La fotografia non inventa dei soggetti, ma li riproduce; il pezzo non è unico ma prodotto in serie, omologato, ripetuto all’infinito.
Andy rappresenta nelle sue opere ciò che è sotto gli occhi di tutti per coglierne l’essenza, perché l’osservazione di un prodotto a scaffale, magari ritenuto effimero e banale, diventa da quel momento in poi, per tutti (pop = popolare), un momento di osservazione e contemplazione, esattamente come davanti un quadro. Lo scaffale è un’opera davanti la quale l’utente prova delle emozioni.
Il futuro del punto di vendita
Il contributo di Warhol è stato immenso in ogni settore legato alla dimensione visiva. Le sue lezioni, le sue opere e il suo pensiero hanno contribuito, nel tempo, a far scomparire quasi del tutto la distanza fra arte e commercio.
“la vita è pubblicità”
È una storia in cui l’arte è diventata pubblicità (e viceversa), attraverso l’impegno di artisti che hanno spinto le proprie competenze visual all’interno delle imprese commerciali, nei loro progetti di comunicazione, sia all’interno che all’esterno degli store.
Ed è esattamente questo il campo dove si gioca la sfida tra gli store del futuro e dello shopper marketing. Come rendere sempre più piacevole l’esperienza di acquisto? La ricerca dell’ottimale soluzione omnichannel continuerà a basarsi sulle intuizioni e sulle letture sociologiche di Warhol? Quanto peserà la dimensione Visual nelle leve dell’in-store marketing nel prossimo futuro?
Articolo di Giovanni Romano