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Hai notato che negli ultimi anni sta cambiando il modo di rappresentare le donne nelle pubblicità? Si tratta di femvertising!
Cos’è il femvertising?
Negli ultimi anni si è sviluppato un nuovo neologismo nell’ambito del marketing: il femvertising, ovvero una strategia di comunicazione che vuole combinare il femminismo all’advertising per rappresentare modelli femminili forti, propositivi e positivi nell’ambito pubblicitario.
Questo tipo di comunicazione ha come obiettivo quello di abbattere gli stereotipi di genere, servendosi dei media e dei social che oggi, sempre di più, giocano un ruolo fondamentale nella cultura, riflettendo le norme sociali della propria società. Tre persone su quattro ritengono che questi mezzi, facendo ricorso ad una rappresentazione positiva delle donne, abbiano il potere di modificare il modo in cui le persone pensano ai ruoli di genere e, allo stesso tempo, aiutano a modellare e plasmare il modo in cui ci vediamo.
Casi di successo
Nel corso degli anni, soprattutto dopo lo sviluppo della quarta ondata femminista portata avanti principalmente mediante i social, i casi di femvertising si sono moltiplicati. Un esempio di primo brand molto attento a queste tematiche è Dove, che s’impegna a contrastare l’immagine della donna perfetta a cui ci hanno abituati media e pubblicità. Un esempio vincente è la campagna realizzata da Always, azienda di prodotti per l’igiene intima femminile, il cui hashtag #LikeAGirl ebbe un grande successo.
https://www.youtube.com/watch?v=XjJQBjWYDTs
Un altro esempio rilevante è stato lo spot lanciato nel 2019 da Nike, intitolato “Dream Crazier”, in cui vengono celebrate sono le donne che, a dispetto degli stereotipi, si sono rese protagoniste di imprese storiche.
https://www.youtube.com/watch?v=EA3GxNO1Peo
Sempre più brand cercano di adottare questo tipo di comunicazione, a volte senza provare un reale interesse. In tutti questi casi si parla di pinkwashing, fenomeno molto diffuso, perlopiù tra colossi e aziende di caratura internazionale spesso appartenenti al mondo della produzione fast e del mercato mainstream (clicca qui per scoprire altre forme di washing).
Solitamente vengono affrontati temi variegati e uno dei più diffusi riguarda il cosiddetto commodity feminism, cioè un femminismo di facciata, in cui vengono promossi superficialmente valori cardine del femminismo e della body positivity, per poi nei fatti promuovere standard di bellezza omologati e confermare gli stereotipi di genere.
Casi di pinkwashing
Un caso che ha suscitato non poche polemiche è quello della statua “Fearless Girl” comparsa di fronte al Toro di Wall Streat in occasione della Festa della Donna a New York nel 2017. la statua di bronzo rappresenta una bambina fiera che sfida il toro di Wall Street, simbolo della finanza mondiale, cercando di promuovere l’inclusione femminile nel mondo del lavoro. In realtà dietro quest’opera, commissionata dalla società di investimenti State Street Global Advisors (SSgA), si nasconde un femminismo di facciata, comprovato dalle innumerevoli segnalazioni delle dipendenti donne che hanno denunciato le discriminazioni di genere delle politiche aziendali, che alimentavano lo gender pay gap.
In conclusione, una giusta rappresentazione delle donne attraverso i mezzi di comunicazione può essere capace di cambiare la società, abbattendo gli stereotipi di genere. È di fondamentale importanza, però, che l’azienda stessa creda in ciò che comunica, dimostrando nei fatti ciò che comunica, altrimenti è mero pinkwashing.
Articolo di Erika Macaluso