Valentina Iodice, Strategic Planner & Copywriter di Eikon
Il 24 Marzo 2022, gli studenti di Trade & Consumer Marketing hanno avuto il piacere di ospitare Valentina Iodice, strategic planner e copywriter di Eikon; tra falsi miti sfatati e nuovi canoni per comunicare con il cliente, i nostri traders hanno scoperto le nuove regole per entrare a “giocare” nel mondo del retail.
Offline shop matters
È fuori discussione che il modo di fare retail è completamente cambiato.
A causa del Covid e dell’assalto del digitale, il retail si è trasformato da luogo necessario per l’acquisto a luogo in cui è permesso vivere esperienze memorabili, in cui la shopping mission non è guidata dai bisogni ma dalla volontà di creare un legame.
Nonostante ciò, come asserito dalla Iodice, si continua a pensare che “lo store fisico conti meno dell’e-commerce” quando in realtà esperienze ed acquisti passano, per la maggior parte, dal canale tradizionale.
Qualcosa però è cambiato. La conoscenza di un prodotto, così come l’atto dell’acquisto, si snoda su diversi canali e strumenti che devono essere integrati dal punto vendita, in modo da posizionarsi in modo chiaro nella mente dell’utente e instaurare una relazione stabile e di lungo periodo. I punti vendita, quindi, devono necessariamente reinventarsi e adattarsi alle nuove “regole del gioco”.
Le regole del gioco?
“L’unica costante nella vita è il cambiamento”.
Era semplice, molti anni fa, emozionare e far sognare il consumatore attraverso un approccio più pubblicitario…ad oggi però, le persone sono sottoposte a talmente tanti stimoli che l’efficacia di quelle strategie di marketing communication orientate al sell-out è fortemente diminuita. Anche la consapevolezza e la voglia di conoscenza dell’utente si sono notevolmente evolute…
Come funzionava prima la Customer Journey?
In passato le persone vedevano un prodotto, ne erano attratte, andavano in negozio, lo compravano e, se le loro aspettative venivano soddisfatte, lo ricompravano.
Oggi gli step sono aumentati: l’utente che compra un prodotto è istruito alle funzionalità del bene e conosce approfonditamente anche quelli della concorrenza, essendosi informato prima dell’acquisto sia online che offline. Già in questo step l’impresa deve agire mettendo a disposizione dell’utente tutte le informazioni di cui ha bisogno per compiere il passo decisivo verso l’acquisto. Dopodiché se le aspettative verso il prodotto sono state soddisfatte e superate, il cliente consiglia l’insegna o il brand ad amici e familiari diventando un Ambassador.
Retail communication: Le regole del retail 4.0 applicate all’insegna
Dal cambiamento del customer journey nel tempo, si intuisce che i retailer devono necessariamente voltare pagina.
Ad oggi, la strada giusta è segnata dalla fusione del marketing tradizionale e digitale attraverso tecnologie funzionali all’utente, in modo da allineare le informazioni trasmesse in tutti i punti di contatto e trasformare i negozi fisici in destinazioni.
Per raggiungere tali obiettivi, il punto di partenza è offrire un servizio alle persone senza che queste avvertano la necessità di imparare qualcosa che sia troppo complesso, cercando di far vivere all’utente un’esperienza fluida e dinamica attraverso la tecnologia, che deve agire da facilitatore; una volta scelti i servizi più utili al consumatore, è possibile integrarli con una serie di servizi, come ad esempio il click&collect, le consegne a domicilio o il click&subscribe.
Oltre al ruolo da facilitatore, la tecnologia ha fatto sì che lo stimolo all’acquisto o l’avvicinamento ad un brand possa avvenire in qualsiasi micro-momento (così definiti da Google) che può essere sfruttato dall’insegna, tenendo conto che essere troppo invasivi può avere l’effetto contrario.
Tuttavia, l’uso eccessivo della tecnologia, durante la recente pandemia, ha generato il bisogno di “contatto” tra le persone, le quali valutano positivamente valori come servizio e socialità, ritenuti dall’ospite gli argomenti chiave che rappresenteranno il futuro della comunicazione.
Più contatto tra le persone, implica anche più contatto tra l’insegna e i suoi clienti, per i quali la personalizzazione dell’offerta non è più sufficiente; un approccio one-to-one e un TOV chiaro ed originale sono la chiave per creare contenuti interessanti e fortemente profilati.
Essere originali e distinguersi però, quando gli stessi clienti sono più bravi di te a creare contenuti, non è per niente un’impresa semplice. La soluzione per l’insegna è superare la sindrome dell’impostore e non aver paura di parlare dei propri argomenti, diffondendo contenuti che riflettano a 360° gradi le storie ed i valori alla base della brand identity.
Tutto ciò permette all’insegna di generare fiducia e fedeltà che però – è importante sottolinearlo -non possono essere circoscritte al “potenziale cliente”: determinati valori coltivati a anche nei confronti di tutti gli attori della filiera, attraverso azioni di corporate social responsability e le giuste partnership strategiche che li facciano sentire parte di un progetto più ampio.
In un contesto di overchoice come quello attuale, il punto d’arrivo è dare motivo ai consumatori di frequentare abitualmente il punto vendita non solo per i prodotti offerti, ma soprattutto per le esperienze vissute in-store e per valori condivisi con l’insegna!
Il ruolo del retailer
Il retailer è l’architetto della scelta dello shopper. Questa è una differenza importantissima da far percepire ai brand con cui lavora l’insegna: mentre il brand può darsi un’identità attraverso i prodotti che produce, l’insegna si dà un’identità con le scelte di assortimento che porta avanti.
Pensiamoci un attimo…online il consumatore profila e filtra i risultati prima di scegliere un prodotto da acquistare e lo fa per orientarsi all’interno dell’assortimento online dell’insegna. Questo tipo di processo dovrebbe essere riprodotto anche offline, cercando di non sovraccaricare l’assortimento e di aprire spazi esperienziali che lascino il consumatore libero di fare esperienza “fisica” con i prodotti. L’assortimento e la gestione degli spazi in-store sono le leve più importanti dell’insegna che, se non sfruttate, non avrà altro che il prezzo per distinguersi dalla concorrenza…il problema è che c’è sempre qualcuno di più economico.
Il caso Piùme
Nello stesso intervento, la relatrice ha presentato un caso concreto di successo relativo a un’insegna con un posizionamento medio-alto nel mondo drugstore: stiamo parlando della realtà Piùme.
L’intento iniziale è stato quello di creare un naming che potesse trasferire la mission del brand attraverso una sola parola: PIÙME, un posto in cui mi sento più me stesso, il posto ideale per coccolare se stessi ma anche la propria casa.
Ciò che riguarda la retail communication è stato studiato e scelto in modo preciso e puntuale: l’utilizzo del copywriting si è rivelato trampolino di lancio e strumento di interfaccia diretta con il consumatore finale sin dall’inizio.
La comunicazione interna si distingue per scelta di colori (3 codici colore differenti per persona, casa e beauty), font e forme in linea e coerenti con il progetto pilota: un luogo confortevole dove sentirsi se stessi!
Adesso…parola al testimone e ai dubbi dei nostri traders!
- Quanto le aziende hanno compreso la potenza dello strumento del copywriting? Pensa ci sia ancora tanto da lavorare?
Le aziende hanno compreso l’importanza del copywriting quando hanno capito che la produzione di contenuti era indispensabile.
Rispetto a 10 anni fa, questa figura ha assunto un’importanza maggiore agli occhi dei clienti ma, nonostante ciò, c’è ancora tanto da fare; per le attività creative, infatti, e in particolare per il copywriting, la tendenza è sempre quella di minimizzare la formazione necessaria per poter svolgere questo tipo di lavori.
È ancora molto difficile far capire all’imprenditore che non può delegare la scrittura a chiunque solo perché…“sa scrivere in italiano”!
- Riferendoci al caso Piùme, quali pensa siano i caratteri distintivi rispetto a un altro drugstore?
Sicuramente l’esperienza all’interno del negozio, la struttura, il design, la comunicazione e l’esposizione dei prodotti sono aspetti differenzianti rispetto ai competitors. Anche la comunicazione è stata trattata in maniera molto personale, per certi versi anche di rottura; i primi volantini, ad esempio, non avevano prodotti in copertina ma lavoravano solo sul copy…stessa cosa vale per le vetrofanie, dove non si mostravano immagini legate al drugstore ma copy visual.
Nonostante ciò, dobbiamo ricordare che Piùme è un progetto nato in piena pandemia, e tutto ciò ha influito inevitabilmente sul suo sviluppo; per questo motivo l’insegna è tornata nella sua comfort zone, avvicinandosi agli standard settati dai competitors per osservare le evoluzioni future del mercato.
- Guardando i trend attuali, come crede che si comunicherà nel metaverso? Vede, in questo nuovo mondo, opportunità anche per le insegne commerciali, oppure pensa sia un “lusso” che solo i brand industriali possono concedersi?
Come tutte le novità, è difficile fare previsioni. Una cosa è certa: inserirsi in un contesto così nuovo implica per un’azienda sforzi importanti, soprattutto dal punto di vista del capitale professionale. Ciò implica che all’inizio saranno sicuramente solo i grandi a beneficiare di questo strumento.
L’azienda, di grandi o piccole dimensioni, di fronte ad una nuova avventura dovrebbe sempre chiedersi: “Ha senso investire su questa nuova possibilità? Perché dovrei farlo?”
Visibilità e arricchimento dell’experience sono dei potenziali plus, ma non sottovaluterei la percezione dell’utente, che a livello etico, potrebbe non apprezzare questo impegno sul virtuale rispetto al reale. Indubbiamente però la realtà virtuale apre scenari interessanti da studiare attentamente nel medio/lungo periodo.
Articolo scritto da Andrea Barretta