PICCOLO DISCLAIMER
Sappiamo di non essere una pagina che ha le competenze sociopolitiche sufficienti per analizzare i motivi del conflitto che sta avvenendo a qualche centinaio di chilometri dalle nostre case ma in queste poche righe si è voluto andare ad esaminare brevemente la storia del binomio tra comunicazione e guerra.
Nonostante questo, come autore dell’articolo, mi sono permesso di concludere questo pezzo con un paio di considerazioni personali, siete liber* di leggerle o meno!
COMUNICAZIONE COME ARMA
Oggi, in questo bites, andrò ad affrontare un argomento che mai mi sarei aspettato di trattare, o almeno non mi sarei mai aspettato di utilizzare un esempio così attuale e così vicino a noi (geograficamente e culturalmente) inerente al tema.
Comunicazione e guerra sono un binomio che
nel corso della storia si è sempre più consolidato. Tutto è iniziato durante la Rivoluzione francese con il telegrafo ottico (figura 1) di Claude Cheppe che era utilizzato per mettere in contatto, in tempo reale, le basi di Parigi e Lille.
Tuttavia, fu soltanto dal 1837 che la comunicazione diventò un’autentica arma utilizzata per influenzare l’opinione pubblica sia sul fronte interno che sul fronte esterno (avversario e non); questo fu reso possibile dal telegrafo elettrico (figura 2) inventato da Morse (“quello del linguaggio”) e Cooke che fece sì che si affermasse una nuova figura professionale: il corrispondente di guerra. Quest’ultimo, tramite le sue parole, poteva rendere partecipe chi fosse rimasto in patria aumentando così l’empatia collettiva con i soldati al fronte.
IL PESO DELLE PAROLE
Ben presto ci si accorse di come le informazioni di carattere bellico potessero essere adattate per favorire i propositi governativi di una o dell’altra parte. Questo fu reso anche possibile grazie all’impiego della radio che aveva il grande vantaggio di parlare non solamente alla propria parte ma anche di “bucare” le linee nemiche e far arrivare determinati messaggi alla controparte (sia civile che militare).
L’introduzione di notizie false fece sì che il controllo delle autorità sui messaggi divenne molto stringente attraverso censure di vario tipo. Si iniziò quindi a far sentire (e vedere, con i cinegiornali) solamente ciò che fosse in linea con i diktat governativi e già durante la Seconda guerra mondiale furono preposti dei ministeri particolari che seguivano minuziosamente la comunicazione rivolta ai propri cittadini e quella verso il resto del mondo. Quindi, se avessimo avuto la possibilità di poter sentire la comunicazione di entrambi gli schieramenti, avremmo potuto vedere come, per una stessa azione militare, una parte esaltava “l’infermabile avanzata” mentre l’altra “l’indomabile resistenza”.
DAL VIETNAM AI GIORNI NOSTRI
Questo status quo venne meno con il conflitto del Vietnam quando, per la prima volta grazie alla televisione, la guerra entrò all’interno delle case, in questo caso degli americani, mostrando un po’ più nello specifico cosa stava succedendo a migliaia di chilometri di distanza.
Queste informazioni “scarne di censura” visto che il governo non riusciva a controllarle fecero in modo che la fronda interna dei “no war” divenne sempre più forte, andando a minare la stabilità interna e, nel 1975, gli USA furono costretti ad abbandonare i propri intenti bellici in Vietnam.
Un altro grande passo nella storia del binomio comunicazione-guerra è successo di recente con l’avvento su scala mondiale dei social network. Infatti, con quest’ultimi, si è creata una rete mondiale caratterizzata da una velocità di propagazione dell’Informazione incredibile e sono ormai usati, come stiamo vedendo ahimè in questi giorni, anche dalle varie istituzioni.
Twitter, Instagram, Facebook, Telegram e Wechat stanno svolgendo un ruolo primario in questi giorni a livello comunicativo. In questi giorni abbiamo visto leader annunciare il proprio sostegno ad una parte tramite Twitter, ministeri informare la popolazione di possibili attacchi tramite Telegram, l’organizzazione di proteste antigovernative tramite Instagram e mobilitare la solidarietà tramite Facebook.
Può risultare una frase fatta ma la speranza è che la storia dell’evoluzione della comunicazione in ambito bellico ponga il proprio punto adesso perché la barbarità che stiamo vedendo in questi giorni, senza scordare degli altri conflitti recenti in Afghanistan o Palestina per fare due esempi, possa essere al più presto un ricordo del passato.
I MIEI DUE CENTESIMI
Non farò troppi giri di parole: questo è un periodo di merda per il mondo e per tutte le persone!
Le immagini che si vedono in questi giorni sui social e sui media tradizionali sono di un’atrocità assurda che mai mi sarei aspettato di dover commentare e averne paura.
Uno dei primi pensieri alla notizia della guerra in Ucraina è stato verso la mia generazione e all’effetto Boiling frog ovvero che, un pezzo alla volta senza praticamente accorgersi, ci si abitui a questo schifo, fatto di sofferenza e morte, che vediamo ogni giorno.
Ma poi questo mio egoismo ha lasciato spazio alla realtà; perché, mentre io sto cercando le parole migliori per esprimere un mio pensiero, a qualche centinaio di chilometri da qua due mie amiche, una ucraina e una russa, lottano, nel vero senso della parola, per la loro libertà!
E a me non resta altro che guardare le foto di questa estate con loro sorridenti e abbracciate, sperando con tutto il cuore di rivederle nello stesso modo aspettando una birra a Spalato.
Articolo di Adriano Giugia