Il cuore di un brand secondo GSK
Se almeno una volta vi siete ritrovati a dover “rigenerare le vostre forze con gusto” bevendo un Polase o a ritrovare “la gioia di muoversi” con Voltaren Emulgel, allora avete avuto a che fare con un prodotto di GSK Consumer Healthcare.
GSK Consumer Healthcare è il leader mondiale nel settore del Consumer Healthcare, con alcuni dei brand più noti nel mondo dell’automedicazione e dell’igiene orale tra cui, oltre ai sopracitati, troviamo Sensodyne, Parodontax, Multicentrum e Rinazina.
Tutti i giorni almeno 1 miliardo di persone nel mondo usano un prodotto del portafoglio di GSK, ed il consumatore è da sempre al centro dello sviluppo dei suoi marchi. La divisione Consumer aziendale è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, dando una sempre maggiore rilevanza maggiore alla centralità agli insights e ai bisogni del consumatore, alla base di tutte le scelte di innovazione e di comunicazione.
Andrea Soldani, Global Marketing Director di GSK CH, ci ha raccontato l’importanza di stabilire una brand chart che presenti i pilastri dell’identità di marca, tutti gli elementi espressivi e la sua struttura narrativa. GSK chiama questa guida Brand Heart proprio perché la stessa rappresenta il cuore del marchio, con al centro il brand purpose, ossia il motivo per cui un marchio esiste. A seconda del brand purpose, la strategia di marca è completamente differente ed è ciò che differenzia ogni marchio.
Concetto che si applica a tutti i brand ‘seri’. Un esempio calzante è il brand Barbie di Mattel con un brand purpose centrale e moderno che si propone di creare esperienze, fondato sul concetto che le bambine possano essere e diventare tutto ciò che vogliono. Creare un tipo di esperienza tra il consumatore e il prodotto non è facile, ma se alla base si pone un brand purpose consistente e coerente, il cliente sarà più propenso ad entrare in relazione con il prodotto.
Polident wipes: da slam dunk a turnover
Andrea Soldani ha lavorato allo sviluppo ed al lancio globale di un prodotto innovativo per la pulizia della dentiera del marchio Polident: le salviette per pulire la protesi. Il portatore di dentiera è uno dei consumatori più difficili da convincere, perchè non si vuole riconoscere come tale (perdere dei denti naturali è uno shock che porta ad un rifiuto totale della problematica). Inoltre l’età media di coloro che hanno uno o più denti non naturali in bocca è molto più bassa rispetto a ciò che si pensi (intorno ai 45-50 anni), ma, nonostante ciò, le persone sono convinte che i prodotti per protesi mobile (volgarmente ‘dentiera’) siano per soli anziani.
Questa categoria può anche apparire poco dinamica ed interessante, anche perché innovare è estremamente difficile. Il prodotto che si offre per la pulizia quotidiana (ovvero la compressa da sciogliere nell’acqua) è da anni molto simile essendo molto difficile creare un prodotto migliore in termini di efficacia.
Ma non sempre si può pulire una protesi mobile utilizzando le compresse, ci vuol tempo e privacy. Quando sono state ideate le salviette, il prodotto rispondeva all’esigenza di pulire la dentiera dopo i pasti e rimuovere i residui del cibo in situazioni di emergenza out-of-home.
Nonostante i numerosi product test e i feedback entusiasti ricevuti dai consumatori, le aspettative attese non sono state raggiunte. Pur comprendendo a fondo i bisogni del consumatore, si decise di priotizzarne alcune tralascinadne altri, che si rivelarno piu’ rilevanti. L’insight era preciso (necessità di pulire la dentiera quando non e’ possibile o non si vuole usare le compresse) ma il focus doveva essere modificato da “anytime & anywhere” a “quick & easy”, a prescindere dal luogo di ‘pulizia’ (il consumatore preferiva acquisire familiarità con il prodotto in casa, per poi portarlo al di fuori.
La campagna di comunicazione iniziale era basata sull’utilizzo del prodotto al ristorante o in auto, ma il consumatore non era ancora pronto a portarlo con se fuori dalle mura domestiche. Il prodotto in principio come era stato lanciato non aveva trovato il corretto posizionamento neppure a scaffale, poiché si confondeva con le compresse, nonostante tutti i test di prova fatti negli shopper lab aziendali dove è possibile effettuare delle simulazioni in 3D o con la realtà virtuale.
Per innovazioni di questo tipo, come insegna Jeff Bezos, bisogna avere molta pazienza ma un’azienda come GSK per prodotti di servizio come le salviette, dopo ingenti investimenti e diversi tentativi di rilancio, non ha avuto la pazienza di aspettare l’arrivo dei risultati ed ha concentrato le risorse su altri prodotti.
Insuccessi di questo tipo non vanno però ad impattare sulla brand equity delle aziende come GSK, al limite si spostano gli investimenti si spostano su altri prodotti. Inoltre ogni innovazione, anche quello di minor successo, portano insegnamenti e lezioni che vengono interiorizzate per poter innovare sempre meglio in futuro. Quando si tratta di fare innovazione l’impresa si assume il rischio calcolato che questa possa non funzionare, ma è molto più importante continuare ad innovare perché nel caso si abbia successo spesso il guadagno è di tante volte superiore all’investimento fatto.
Ma chi è Andrea Soldani? Andiamo a conoscerlo meglio!
Come tutte le persone bisogna distinguere la persona dal manager.
Fuori dall’ambiente lavorativo le sue passioni sono la storia, il basket, lo sci e, come ogni italiano, il cibo.
Negli ultimi due anni ha iniziato a praticare il tiro con l’arco e questo ci fa capire come non sia mai tardi per mettersi in gioco e imparare nuove cose!
A livello professionale, dopo la fine dei suoi studi accademici in Bocconi e un anno nei Carabinieri inizia la sua ventennale carriera in GSK.
Il suo percorso è iniziato come junior brand manager, in linea con qullo che aveva studiato nei suoi anni di università, per poi svilupaprsi tra marketing e vendite nella filiale Italian del gruppo, fino a diventarne direttore Marketing nel 2011. Da li’ a breve il salto nella sede Corporate di GSK a Londra nel 2014, fino all’attuale posizioe di Global Marketing Director responsabile delle strategie di Marketing focalizzate sul Farmacista.
Il fatto di lavorare in un grande gruppo internazionale come è GSK gli ha dato l’opportunità di fare varie esperienze. Infatti, oltre alla già citata nelle vendite, Andrea ha avuto l’occasione di lavorare con i dentisti, produrre adv, collaborare nel digital e fare tante altre esperienze sempre con l’obiettivo di mettersi in gioco e migliorarsi!
3 domande ad Andrea Soldani di GSK
Come si riesce ad essere una grande multinazionale e allo stesso tempo molto attenti al singolo consumatore?
“Nonostante le dimensioni, è molto importante avere un’ottima conoscenza del consumatore. Bisogna vedere che cosa pensa e trovare insights che siano allo stesso tempo globali ma focalizzati sulla persona. Non ci deve essere un immobilismo aziendale e, anzi, bisogna essere sempre aggiornati per rimanere al passo con i tempi e con le nuove esigenze dei nostri consumatori!
Per esempio, non si può considerare Amazon come un “nemico” che avanza ma come un partener con cui interagire e collaborare.
Per concludere è fondamentale che tutte le scelte di comunicazione aziendali seguano una coerenza per dare un messaggio al consumatore che sia univoca e non ambigua!”
Quali sono i libri di management che si sentirebbe di consigliare in ambito di management?
“I libri di management sono particolari perché vanno come le mode e questo vale sia a livello aziendale che a livello accademico. Non c’è quindi un “testo sacro” e, più che un libro, consiglierei le biografie e/o le autobiografie dei fondatori delle grandi aziende come, per esempio, Phil Knight di Nike (Shoe Dog) perché questi libri non sono manuali ma è vera e propria storia!”
“Altri testi che mi sentirei di consigliare sono ‘How brands grow’ di Byron Sharp, ‘Shine how to survive and Thrive at work’ di Chris Barez-Brown, ‘Brand Sense’ di Martin Lindstrom ed il recente ‘No rules rules’ di Reed Hastings il fondatore di Netflix”.
Per lavorare in ambito internazionale bisogna partire già da un’ottima base linguistica?
“Non c’è una vera e propria barriera linguistica ma certamente bisogna avere, inizialmente, almeno un livello sufficiente. È molto importante essere intraprendenti e mettersi in gioco. Nel mio caso, lavoro in un team a prevalenza linguistica anglosassone e ho potuto notare come venga molto apprezzato il fatto che il livello linguistico migliori nel corso del tempo.
Vi voglio inoltre dire che un buon livello di inglese è importante non solo per lavorare in UK ma anche per tenere più porte aperte a livello lavorativo, anche se si lavora in Italia. Io personalmente non assumo giovani che non ha una più che buona dimestichezza ‘naturale’ con l’inglese. Il mondo e’ troppo interconnesso per non sottovalutarlo.
Articolo di Martina La Rosa e Adriano Giugia