Probabilmente c’è qualcuno che non crede in se stesso, forse c’è qualcuno che crede di non poter essere il migliore di tutti e magari c’è qualcuno che è sempre pronto a dire:”non ce la farò mai”. Sai chi è? Sei proprio tu! Tu che dovresti essere il primo fan di te stesso, tu che dovresti far vincere sempre quella parte positiva che hai dentro, che ti faccia dire:” forza, che questa volta ce la farai”, ma fermiamoci un attimo e capiamo realmente tu chi sei.
Nel corso degli anni, i metodi di comunicazione digitale si sono evoluti notevolmente ed hanno influenzato anche l’immagine di noi stessi. Così nel tempo sia le persone più comuni che quelle più note hanno dovuto cedere a quelli che ormai rappresentano i principali canali di comunicazione: i social media. Attraverso questi mezzi, ciascuno di noi è chiamato a mettere in pratica delle strategie di personal branding mai banali: ciascuno di noi ha infatti la possibilità di mettere in mostra gli aspetti della propria personalità e della propria vita che più considera adatti a tutti coloro che abbracciano i nostri stessi ideali; infatti scegliere una propria nicchia di riferimento, creare o individuare una community che si immedesimi nei nostri ideali o nei nostri interessi è un passo decisivo per far sì che il nostro personal branding possa esprimersi al meglio. Possiamo inoltre dire che, attraverso e grazie ai social media, diventiamo dei prodotti di marketing e in quanto tali dobbiamo scegliere con attenzione i valori, le caratteristiche e gli episodi che vogliamo mostrare.
In particolare con l’espressione Personal Branding descriviamo quell’insieme di strategie messe in pratica per promuovere se stessi, le proprie competenze ed esperienze, tutto ciò che caratterizza la nostra persona e i nostri valori; però una parte sottovalutata di questo concetto è la capacità di trasmettere i nostri valori e di promuovere noi stessi sul mercato, cioè provare a costruire un personal branding che giri attorno a noi stessi perché tante volte alle prime difficoltà, magari scegliamo la strada sbagliata o magari altre volte proviamo ad essere ciò che non siamo oppure ci sottovalutiamo e non “vendiamo” ciò che meglio sappiamo fare. Non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo di riferimento di questa strategia è quello di riuscire ad imprimere nella mente degli individui un’immagine ben confezionata di sé e di creare relazioni, generare empatia e fiducia ma soprattutto differenziarsi dagli altri e fare in modo che le persone si affezionino alla nostra figura e al nostro messaggio.
Quindi, possiamo concludere spiegando ancor meglio che non si tratta di qualcosa che si collega alla vendita di se stessi, ma piuttosto si va a focalizzare sul miglioramento della nostra immagine affinchè si possa riconoscere prima il vero valore di una persona e successivamente il valore del professionista. Proprio la parola professionista porta all’introduzione di due esempi che inizialmente potranno far storcere il naso ma poi si scoprirà che c’è un filo logico ben preciso. Gli esempi raccontano due storie di basket totalmente differenti ma unite da un denominatore comune: un buon personal branding. Qualche giorno fa, per i più appassionati, si sono concluse le Finals NBA che hanno visto vincitori i Los Angeles Lakers di Lebron James; proprio lui è il primo esempio di personal branding. Lebron professionista e giocatore affermato nel panorama cestistico arriva a LA e la frase che lo celebra e lo presenta arriva da una personalità tutt’altro che umile Zlatan Ibrahimovic che su twitter posta “Now LA has a God and a King!” poi tutto il resto è stato storia. Secondo Forbes il solo marchio del giocatore dei Lakers è stimato su circa 20 milioni di dollari. Ancora in numeri, James conta circa 20mln di fans su Facebook, più del doppio su Twitter ed Instagram tutto ciò spiegato dalla notevole influenza e costante presenza sui social del cestista. La piattaforma MVPindex lo premia con il maggior punteggio delle tre variabili considerate sui social: reach, engagement e conversation. Tutto questo successo è spiegato proprio dalla strategia sopracitata dove anche un giocatore di basket sfrutta i social media che diventano il principale strumento di comunicazione e il giocatore stesso ne diventa il prodotto: prodotto che va auto promosso, cercando di metter in risalto gli aspetti migliori della sua personalità, non stupisce infatti che essi siano in grado di dettare un vero e proprio stile di vita per i loro tifosi, qui infatti avevamo parlato di sport&lifestyle. LeBron c’è riuscito, sta consolidando il suo personal branding e sicuramente sta investendo tempo e risorse che lo aiuteranno nella sua fase post carriera. Insieme a lui nel panorama soprattutto americano si contano decine e decine di esempi di buone strategie di personal branding. Di tutt’altro discorso è il panorama cestistico italiano che non vede personaggi di spicco o quanto meno provar ad esser notati. Si nota una costante assenza dei giocatori del campionato italiano da ogni attività social tranne rari casi come Gianmarco Pozzecco, allenatore, oggi, un po’ fuori dagli schemi e Tommaso Marino insieme a Bruno Cerella che hanno anche lanciato un brand di articoli streetwear, che pian piano si sta consolidando all’interno del mondo del basket.
Quest’altro esempio fa riflettere e porta ad una domanda…quindi è utile puntare sul personal branding? Se questo significa comunicare attraverso noi stessi o meglio promuoversi nel migliore dei modi, quindi sviluppare l’immagine di noi magari da ciò che siamo adesso a quello che vorremmo diventare, decisamente sì.
Scritto da Gherardo Maria Lavanga