Si sa, le collaborazioni nel mondo della moda esistono; esistono e sono spesso folgoranti, indimenticabili e straordinarie, oltre che sempre più frequenti.
Già il 30 settembre scorso abbiamo parlato di una collaborazione entusiasmante: quella tra Dario Argento e Massimo Giorgetti (MSGM). Una collaborazione, quindi, che ha visto l’incontro di due mondi apparentemente lontani ma in realtà molto vicini: il cinema e la moda (se non hai ancora letto l’articolo, leggilo ora cliccando qui: https://www.tradecommunity.it/2020/09/il-colore-trait-dunion-tra-cinema-e-moda).
Bene, anche oggi ci troviamo sullo stesso confine. Anche oggi parleremo di una collaborazione, o meglio dire di un’unione, tra due mondi: quello di un regista americano indipendente e quello di un direttore creativo di una nota casa di moda: Gus Van Sant e Alessandro Michele (Gucci).
Ma cos’hanno in comune i due?
In un’intervista, Michele ha dichiarato di aver “aperto gli occhi” proprio grazie a un film di Van Sant, definendolo “il regista che da trent’anni accompagna la mia vita”.
Con lui, lo stilista ha deciso di realizzare un progetto completamente fuori dall’ordinario per presentare la nuova collezione Gucci: una miniserie, intitolata “Ouverture Of Something That Never Ended”, con l’obiettivo di mandarla in onda in occasione del GucciFest, terminato proprio qualche giorno fa (il 22 novembre).
LA GENESI DEL PROGETTO
Il progetto è senza dubbio molto di più di un “rimpiazzo” alle sfilate costretto dal Covid. Non è nemmeno democratizzazione della moda, in voga in questo periodo di pandemia (sottolineo che al GucciFest può partecipare chiunque). È un lavoro pensato, una “trovata di marketing geniale”.
Come è iniziato esattamente non lo sappiamo, non sappiamo precisamente quali idee si siano scambiati i due artisti o quali fossero le aspettative. Sappiamo però sicuramente che, il 3 Maggio di quest’anno, Michele aveva già le idee ben chiare. In un suo post su Instagram (vi lascio qui il link https://www.instagram.com/p/CAkszCYpBJV/?igshid=1e3tj0bk6q5ap), intitolato “Appunti dal silenzio – Notes from the silence” scrive: “Therefore, I will abandon the worn-out ritual of seasonalities and shows to regain a new cadence, closer to my expressive call. We will meet just twice a year, to share the chapter of a new story. Irregular, joyful ad absolutely free chapters, which will be written blending rules and genres, feeding on new spaces, linguistic codes and communication platforms” poi aggiunge “Accordingly, there will be symphonies, rhapsodies, madrigals, nocturnes, overtures, concerts and minuets in the constellation of my creative path”.
LA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO
La serie, abbiamo detto, ha quindi il mero obiettivo di presentare la nuova collezione Gucci, ovviamente in modo originale, come mai è stato fatto prima (per questo, sopra, l’ho definita “una trovata di marketing geniale”). Questo obiettivo viene perseguito raccontando la vita di Silvia in pieno “stile Van Sant”, ovvero con inquadrature lente, ravvicinate e tempi dilatati. È una storia vaga, “l’inizio di qualcosa che non è mai finito”. Secondo Van Sant, è proprio “la narrazione di un tempo che non inizia e non finisce, un non succedere che si trasforma in succedere. È una storia che non racconta nulla”, ma dalla quale i vestiti prendono vita, entrano nel quotidiano e raccontano a loro volta storie e persone.
I PROTAGONISTI: SILVIA E L’ABITO
Come detto sopra, la protagonista della miniserie targata Gucci è Silvia Calderoni, attrice, performer, scrittrice e danzatrice italiana.
Nella serie, Silvia viene raccontata in casa, prima di iniziare la sua giornata; viene raccontata al bar, alle poste e al teatro. In luoghi belli. Viene raccontata Silvia che osserva con attenzione i suoi vicini di casa, le loro abitudini, il loro modo di essere a seconda dei vestiti che indossano. Viene raccontata infine al “vintage shop” e durante una passeggiata notturna seguita da incontri particolari.
In ognuno di questi luoghi emerge il ruolo dell’abito; indossando, tutto ha un senso. Gli abiti prendono vita e al contempo la danno (questo concetto è particolarmente esplicito in una scena della seconda puntata “At the Cafe”: i protagonisti sono due ragazzi nudi e la loro conversazione completamente senza senso).
IL FINE DELLA SERIE
Come già esplicitato, la miniserie ha il mero obiettivo di presentare la nuova collezione Gucci. È quindi, in un certo senso, una vera e propria sfilata di moda; tutti i capi vengono infatti mostrati e raccontati con cura, vestendo personaggi capaci di valorizzarli.
Lo stile di ogni personaggio non è lasciato al caso: come nella vita reale, il modo di vestire è ciò che più ci porta ad esternare chi siamo, o perlomeno chi vorremmo essere.
Concludendo, mi sento di dire che la pandemia e il suo conseguente lockdown hanno sicuramente “costretto” il mondo della moda a cambiare le carte in tavola. I designer hanno cercato modi nuovi e attrattivi per mostrare al mondo il loro lavoro e, come si legge su www.rivistastudio.com, “se negli anni abbiamo visto molti registi famosi cimentarsi con fashion film e pubblicità d’autore, è la prima volta che un marchio di moda sceglie il formato della serialità televisiva per raccontare una collezione”.
Si tratta sicuramente di una storia di successo, di una campagna promozionale (se così può essere definita) senza precedenti. Speriamo di vederne altre come questa!
“La narrazione è cresciuta in modo naturale. I vestiti, liberati dai luoghi della moda, si sono impastati al quotidiano. Il cinema, imitazione della vita, ha fatto in modo che vivessero: sono tornati indietro da dove vengono, dalla vita”.
Alessandro Michele, www.repubblica.it
Scritto da Chiara Sturniolo