Senza dubbio il percorso di acquisto è diventato sempre più complesso e le ragioni sono tutt’altro che ignote: prima fra tutte la diffusione delle tecnologie digitali. Per capire meglio il cambiamento, vediamo come si è arrivati dal funnel all’ultima scoperta di alcuni studiosi Google, il Messy Middle.
Dal Funnel alla Customer Journey Map
Inizialmente,il percorso di acquisto veniva semplificato attraverso la metafora del Funnel: lo shopper/consumatore aveva l’opportunità di scegliere tra molteplici brand, più egli si avvicinava all’atto dell’acquisto, più il numero degli stessi si riduceva, fino ad arrivare alla decisione finale che ne vedeva la scelta di uno solo. Una sorta di selezione naturale. Non molti anni dopo, nel 2005, P&G in un rinomato articolo parla per la prima volta di FMOT (First Moment Of Truth). Il primo momento della verità coincide con l’istante in cui lo shopper si trova dinnanzi allo scaffale e avviene il confronto diretto con il sistema d’offerta. Ma non finisce qua. Negli anni della crescita esponenziale delle comunità virtuali, Google comprende che la verità non viene ricercata solo davanti lo scaffale ma (sempre più) attraverso i motori di ricerca (o altre piattaforme digitali) che rimandano alle opinioni che gli utenti hanno minuziosamente lasciato nel web e così si arriva al famoso ZMOT (Zero Moment Of Truth).
“The moment in the buying process when the consumer researches a product prior to purchase.” (Jim Lecinski)
In questa fase la metafora del funnel risulta inadatta a descrivere il nuovo contesto; parliamo di un processo di acquisto sempre più “ingarbugliato” che la letteratura economica decide di meglio rappresentare attraverso la Customer Journey Map. La Customer Journey è un modello teorico che considera il percorso di acquisto dello shopper alla stregua di un viaggio il cui punto di partenza è rappresentato è lo ZMOT, in cui avviene la ricerca di informazioni prettamente basata sui feedback rilasciati dagli altri utenti nel web (UGC). Le successive fasi sono sequenziali e circolari: la soddisfazione post-acquisto potrebbe determinare il c.d. loyalty loop o l’eventuale insoddisfazione potrebbe sfociare in feedback negativi che, se diffusi, porterebbero a condizionare le scelte di altri utenti.
Cos’è il Messy Middle?
In un recente articolo datato luglio 2020 Alistair Rennie e Jonny Protheroe indagano ulteriormente sulle determinanti della scelta di acquisto. Ai due ricercatori appartenenti al team Google si deve il pregio di aver esplicitato una realtà che non è possibile ignorare: il percorso di acquisto è sempre più difficile da rappresentare. Insomma, sì viaggiare ma dimentichiamoci il relax! E se partenza e arrivo risultano non eccessivamente problematici, difficile è capire cosa avvenga nella fase intermedia del viaggio definita dai due autori “Messy Middle”.
Sicuramente questa fase non è mai stata né semplice, né lineare ma la sovrasaturazione di stimoli e di informazioni che caratterizza l’attuale contesto, ha reso tutto necessariamente più complesso. Come scrivono gli autori:
“Il modo in cui le persone prendono decisioni è caotico e lo diventerà ancora di più (…) Sappiamo che quanto avviene tra il primo trigger, ovvero il primo stimolo che innesca il funnel e l’effettiva decisione di acquisto non è lineare e che si tratta di una complicata rete di touchpoint che cambia da una persona all’altra. Quello che conosciamo meno è in che modo gli acquirenti elaborano tutte le informazioni e le opzioni che incontrano durante il percorso. Il punto fondamentale, che abbiamo cercato di capire con questa ricerca, è come questo processo di elaborazione influenzi le decisioni finali di acquisto delle persone.”
Le attività principali di un utente che si addentra nel Messy Middle sono due: esplorazione e valutazione. La prima viene definita espansiva in quanto amplia il consideration set, la seconda riduttiva perché conduce ad un processo di selezione tra le diverse alternative.
Il comportamento di acquisto viene modellato da una serie di bias cognitivi che i due ricercatori identificano come:
- Euristica di categoria: trattasi di tutte le descrizioni ed informazioni che possono semplificare il processo di scelta.
- Immediatezza: nel 2020 tutto e subito diventa un imperativo del consumatore post-moderno al quale adeguarsi per una strategia vincente sul mercato.
- Prova sociale: i feedback rilasciati dagli altri utenti diventano una guida. Ancora una volta, viene sottolineata l’importanza dei UGC.
- Bias di scarsità: nulla di nuovo. Da sempre la limitatezza accresce la desiderabilità.
- Bias di autorità: qua entra in gioco l’influence marketing e la potenza di veicolare i consumi attraverso i social network.
- Potere della gratuità: non è un segreto che gli utenti apprezzino regali e omaggi.
Il potere dei bias cognitivi
Per testare il loro potere di condizionamento dei bias cognitivi, i due studiosi hanno condotto un’indagine in cui il consumatore era chiamato a scegliere tra due brand: uno noto e consolidato ed uno fittizio sul quale si agiva manovrando i bias. Cos’è emerso?
“I risultati hanno mostrato che anche il concorrente meno efficace, un brand di cereali fittizio, è riuscito a conquistare il 28% delle preferenze degli acquirenti rispetto a un brand preferito consolidato quando ha dimostrato di avere una quantità innumerevole di vantaggi, tra cui recensioni a cinque stelle e un’offerta con uno sconto extra del 20%. E nel caso più eclatante, un’agenzia di assicurazioni auto immaginaria ha attirato l’87% della quota delle preferenze dei consumatori quando le abbiamo attribuito vantaggi per tutti e sei i bias.”
Oggi, il modello della Customer Journey può dirsi superato?
lI Messy Middle apre un nuovo scenario in cui il focus si sposta dalle fasi embrionali e conclusive del processo di acquisto a quelle centrali. È come se gli autori ci stessero dicendo che, attraverso i concetti di FMOT e ZMOT abbiamo capito cosa accade nella prima parte del viaggio assimilabile alla sua pianificazione, attraverso l’analisi del loyalty loop o dell’eventuale insoddisfazione abbiamo capito come la destinazione possa rappresentare un secondo punto di partenza per altri utenti ma tra questi due attimi c’è un intervallo determinante in cui una serie di meccanismi sempre più ostici si interpongono nel condizionare le scelte dello shopper. Allora a questo punto vale la pena chiedersi: la metafora del viaggio (Customer Journey) può dirsi ancora una valida rappresentazione del percorso di acquisto o è divenuta eccessivamente semplicistica?
Scritto da Martina Zagarella