Dall’avvento di internet siamo stati sottoposti a quantitativi di informazioni in costante crescita, fino ad arrivare oggi a quell’overload informativo che rende difficile orientarsi tra la molteplicità di fonti disponibili in rete.
In esatta concomitanza cresce la probabilità che le notizie alle quali siamo esposti non corrisponda, in parte o in toto, alla realtà dei fatti, incorrendo quindi nelle cosiddette bufale o fake news.
Il termine inglese fake news (letteralmente in italiano notizie false) indica articoli redatti con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, resi pubblici con il deliberato intento di disinformare o di creare scandalo attraverso i mezzi d’informazione.
La propensione a credere alle bufale scientifiche, il successo delle teorie complottiste, sono un chiaro sintomo di una cattiva conoscenza del mondo dei media: nonostante ci si creda esperti fruitori di informazioni e contenuti mediali, si fa fatica a riconoscere davvero i principali meccanismi e bias su cui essi sono costruiti. Uno studio dell’Osservatorio NEWS-ITALIA sulla percezione delle fake news in Italia sottolinea, per esempio, come della percentuale di utenti che utilizzano Internet come fonte primaria d’informazione oltre il 60% si definisca “abbastanza sicuro” della sua capacità di riconoscere una fake news da una notizia verificata.
Il dato è in contrasto con altri studi, su tutti quello del Pew Research Center che sottolinea come un utente su quattro abbia condiviso almeno una volta, consapevolmente o meno, una fake news. Il dubbio è, allora, che da un lato si tenda a sovrastimare le proprie capacità critiche e dall’altro l’ampio dibattito di questi anni su fatti alternativi e post-verità sia rimasto confinato tra gli addetti ai lavori, con quasi nessuna influenza positiva sull’opinione pubblica.
Da diversi anni le iniziative intraprese per contrastare questo fenomeno sono molteplici, a partire da fonti istituzionali fino ad arrivare alle aziende che tutti noi conosciamo e tramite le quali vengono diffusi contenuti che gli utenti utilizzano per tenersi aggiornati quotidianamente.
Sul sito di Repubblica nasce TrUE, una rubrica in collaborazione con il parlamento europeo che farà principalmente luce sulle operazioni di manipolazione contro l’Europa: una serie di approfondimenti per capire da dove partono le fake news, per smentirle, per evidenziare quale sia il loro scopo, come per esempio Russia e Cina abbiano usato la loro propaganda per far credere agli italiani che il nostro Paese – abbandonato dall’Europa – sia stato salvato da Putin e Xi Jinping.
L’osservatorio europeo dei media digitali sarà invece protagonista nella lotta alla disinformazione divenuta ancora più aspra durante la pandemia e che ha reso quindi più urgente il contrasto alle fake news. Il progetto, entrato in funzione il 1° giugno, è finanziato dall’Unione europea e riunisce fact checker, esperti di alfabetizzazione mediatica e ricercatori che opereranno in collaborazione con le organizzazioni dei media e le piattaforme online. Per la prima fase, che si concluderà alla fine del 2022, l’Unione europea ha stanziato un finanziamento di 2,5 milioni di euro. Indagherà le ragioni che stanno alla base delle fake news, così come le tecniche e i metodi utilizzati nella disinformazione online attraverso ricerche mirate. «Ci impegneremo con piattaforme online come Facebook e Twitter per creare un accesso sicuro per i ricercatori ai set di dati rilevanti per la ricerca», ha aggiunto Renaud Dehousse, presidente dell’Istituto universitario europeo. Gli utenti potranno accedere alla piattaforma sicura Edmo per attività di fact checking e collaborazione con altri utenti.
Proprio il social network guidato da Zuckerberg ha intensificato negli ultimi mesi le operazioni volte a fronteggiare le false notizie in relazione all’emergenza sanitaria: attraverso il Centro Informazioni sul Covid19 e i pop up presenti su Facebook e Instagram, oltre due miliardi di persone sono state indirizzate verso le risorse messe a disposizione dall’OMS e da altre autorità sanitarie. In più, il social network ha rimosso centinaia di migliaia di notizie false e sulla base di un fact check ha avviato metodi di rilevamento che identificano i duplicati di storie già smentite.
Rimanendo sulla scia dei giganti del ditale troviamo le iniziative avviate ormai già da tempo da parte di Google, che ha introdotto una speciale etichetta nella sezione News che distingue le notizie verificate e che hanno subito un processo di fact-checking da quelle che non lo sono: l’obiettivo, com’è facile intuire, è permettere a chiunque di orientarsi tra le fonti e discernerne la credibilità. Per la stessa ragione, più di recente Google ha chiuso una partnership con L’International Fact Checking Network, un’organizzazione attiva a livello internazionale che non solo si occupa di debunking e verifica delle notizie ma fa anche formazione.
Whatsapp, facente parte sempre di gruppo Facebook, ha invece introdotto le novità più interessanti con le “doppie spunte” nei messaggi inoltrati, rendendo consapevoli gli utenti di essere in quel caso un anello di una catena, nel tentativo appunto di metterli in guardia dalla veridicità della notizia o dell’informazione veicolata.
Più recente sono le notizie secondo le quali il social di messaggistica potrebbe limitare a cinque il numero massimo di contatti a cui inoltrare un messaggio e, quest’ultima in fase di test, una funzione che permetterebbe di cercare maggiori informazioni sul messaggio ricevuto, specie quando questo sia stato oggetto di ripetuti inoltri o abbia contenuti controversi.
Cresce la ricerca d’informazione online e sia le istituzioni che le imprese si stanno facendo trovare pronte a fronteggiare un fenomeno che non avrà sicuramente una battuta d’arresto nel breve periodo.
E’ stato sufficiente fornire maggiori conoscenze agli utenti o saranno fondamentali i passi in avanti effettuati per contenere la diffusione delle fake news?
Articolo di Alfonso Palladino