Secondo l’OMS entro il 2030 un americano su due sarà obeso. Senza andare lontano, la situazione europea in termini di aumento ponderale non è tanto più incoraggiante: soltanto in Italia l’obesità e le malattie correlate a carico del sistema cardiocircolatorio costano circa 7 miliardi l’anno ai contribuenti.
Questi sono i sintomi di un problema complesso con responsabilità condivise tra industria del food, grande distribuzione, cultura alimentare dei consumatori, il tutto sotto lo sguardo, ancora troppo miope, delle istituzioni che dimostrano uno scarso impegno nell’arginare quella che viene definita come “pandemia silenziosa”.
Stando ai dati, negli ultimi decenni l’industria alimentare ci avrebbe proposto porzioni e quantità caloriche sempre più abbondanti, a scapito di un sostanziale impoverimento dei nutrienti necessari per una dieta sana.
Ciò vuol dire che i Brand remano contro la nostra salute? No, si limitano soltanto a rispettare le logiche del mercato.
L’alto contenuto di zuccheri, grassi e sale aumenta la palatabilità degli alimenti, cioè la gradevolezza al gusto degli stessi, e la scarsa educazione alimentare dei consumatori contribuisce a fare il resto. D’altro canto, parte dei consumatori odierni sembra più interessata rispetto al passato alla salubrità del prodotto, alla tracciabilità delle materie prime ed alla sostenibilità.
È proprio in seno a queste nuove tendenze di consumo che sono nate, negli ultimi anni, linee Healthy parallele alle referenze classiche. Tra queste troviamo cibi light, free from, +protein, +vitamin, funzionali… e chi più ne ha più ne metta.
Sui packaging dei prodotti a noi familiari assistiamo al moltiplicarsi i claim nutrizionali che, pubblicizzandone le proprietà, stimolano all’acquisto.
Tutto è bene quel che finisce bene, direte. Beh, non proprio.
Le aziende, troppo spesso, utilizzano i claim nutrizionali e salutistici in funzione delle loro esigenze commerciali, esaltando determinate qualità fisiologiche degli alimenti, o millantando presunte proprietà mai dimostrate, come nel caso dei preparati ed estratti vegetali, noti anche come Botanicals.
Le pubblicazioni scientifiche in materia mostrano come questo strumento di marketing – che ha un’influenza crescente tra i driver di scelta delle referenze a scaffale – venga in realtà utilizzato in maniera impropria: solitamente, i consumatori attribuiscono ai prodotti che presentano claim nutrizionali o salutistici maggior qualità anche se ciò, in realtà, potrebbe non essere vero. Provate ad immaginare un alimento con alto contenuto di grassi e sale che rivendica, però, la sua ricchezza di vitamine.
“Nutrition marketing is commonly used on products high in saturated fat, sodium and/or sugar and is more often used on products marketed toward children than products marketed toward adults. Current food industry symbols may not be helping consumers select foods low in saturated fat, sodium or sugar”.
[Nutrition Marketing on Food Labels. S. E.Colby PhD, RD; L. Johnson MS; A. Scheett MPH, RD; B. Hoverson RD]
Un approccio più funzionale [ed etico ndr.] che prevede una sinergia tra Industria e GDO volta alla risoluzione del problema, è quello del marketing nutrizionale.
Con “marketing nutrizionale” si intendono le azioni di marketing che hanno l’obiettivo di «indurre le persone a comportamenti più responsabili nel governo del proprio peso».
[“Cibo, salute e business: Neuroscienze e marketing nutrizionale”. Gianpiero Lugli].
Un classico esempio potrebbe essere quello delle etichette semaforo o nutriscore: rappresentazioni sintetiche di natura grafica che indicano al consumatore il valore nutrizionale di un prodotto e presenti nel Regno Unito e in Francia.
In Germania una nuova tipologia di etichetta mostra in modo sintetico il valore energetico e le quantità di macronutrienti rapportate al fabbisogno di un adulto medio. Questa, al contrario della prima, non da un giudizio all’alimento su cui è posta ma si limita a fornire un contesto di riferimento di facile comprensione, che aiuti il consumatore ad evitare la sovra-alimentazione.
In Italia il Gruppo Commerciale Selex collabora con l’Università Cattolica al fine di promuovere una sempre più consapevole e attenta cultura in ambito alimentare attraverso il sito web comemangio.it
Dal canto loro, i retailer più impegnati su questo versante stanno rivoluzionando i display dei propri punti vendita così da indirizzare i consumatori verso scelte alimentari più sane.
Tra le varie iniziative, troviamo quella di U2 che, in collaborazione con l’Università di Parma, ha lanciato gli “Snack controcorrente“. L’idea è quella di offrire un’alternativa ipocalorica e più salutare al posto dei classici dolciumi posizionati in avancassa.
Non passano certamente inosservate anche le sperimentazioni di COOP nello sviluppo di un merchandising nutrizionale volto a segmentare l’offerta espositiva in base alle caratteristiche nutrizionali dei prodotti in assortimento.
Insomma, le idee sarebbero tante: aumentare le promozioni degli alimenti salutari, come pure lo spazio dedicato a frutta, verdura, prodotti integrali e a ridotto contenuto di calorie e zuccheri, disponendoli eventualmente in più aree del punto vendita. Bisognerebbe, quindi, disputare questa partita sui campi del retail mix e della comunicazione.
Quel che è certo è che un problema di così grande entità rappresenta una opportunità, altrettanto grande e importante, di differenziazione per Industria e GDO, che negli anni a venire sfrutteranno questo nuovo marketing etico per creare valore agli occhi – e per il corpo! – del consumatore.
Articolo di Giorgio Giambanco