A chi non è mai successo di entrare in un negozio Tiger solo per dare un’occhiata e di uscirne con una borsa piena di oggetti dalle forme più bizzarre? Un caso? Non credo proprio. Tutto merito del Tiger Touch!
Ma ripercorriamo la storia del brand dagli inizi. L’imprenditore danese Lennart Lajboshitz ha dato avvio alla sua impresa negli anni Ottanta, a poco più di vent’anni, aprendo il negozio di oggettistica Zebra con la moglie Susan. La famiglia è sempre stata alla base del suo business fin dagli esordi. Egli infatti non ha frequentato né università, né business school che potessero formarlo nell’avvio della sua attività. Ha sempre affermato di aver imparato molto durante l’infanzia, dai discorsi in famiglia che lo incoraggiavano ad avere fiducia in sé stesso e a prendersi sul serio fin da bambino. Lasciò, infatti, la scuola all’età di 16 anni per iniziare a viaggiare, sua grande passione. Ovviamente per viaggiare è necessario avere un guadagno e Lajboshitz cercò di racimolare del denaro come potè: con la fotografia, vendendo fumetti e ombrelli rotti.
All’età di vent’anni, durante uno dei suoi viaggi, Lajboshitz lasciò uno dei due negozietti di oggettistica Zebra nelle mani della cognata che, non riuscendo a trovare il prezziario della merce lo chiamò al telefono per chiedergli dove fosse. Il giovane imprenditore, non avendone idea nemmeno lui, le suggerì di dare il prezzo di 10 corone a tutta la merce. Gli avventori, notando un costo così basso, si precipitarono a fare acquisti e le vendite aumentarono in maniera esponenziale. Al suo ritorno, Lajboshitz decise di mantenere la strategia e di cambiare addirittura il nome dei suoi negozi in Tiger, che in danese ha la stessa pronuncia di tier dal significato di “dieci” come il prezzo fisso della merce in vendita.
Sebbene questa prima idea sia stata fortuita, Lajboshitz, dopo poco, elaborò una strategia geniale da affiancare a quella del prezzo fisso: il cosiddetto “Tiger touch”. Poiché il negozio di oggettistica vendeva merce abbastanza comune, egli decise di personalizzare i beni in vendita. E da qui l’originalità del brand di ridisegnare oggetti comuni nelle forme più uniche: gomme da cancellare a forma di animali, disegni o scritte particolari sulle tazze e colori accesi. Tutto questo senza alzare i prezzi della merce.
Lajboshitz si ritrovò i negozi pieni di gente al punto da fermare le persone per strada per offrire loro il lavoro di commesso presso il suo negozio. Non serve neanche dire che i profitti si duplicarono anche stavolta portandolo, in soli tre anni, ad aprire filiali all’estero. Il primo Paese in cui Lajboshitz decise di lanciare il suo brand fu l’Islanda e, anche in questo caso, la decisione non venne presa per motivi commerciali ma più semplicemente perché lui e la moglie amavano visitare il Paese.
Due anni più tardi, dopo aver rincontrato Philip Bier, un suo vecchio compagno di scuola che cercava un’occupazione più stabile per mantenere la propria famiglia, Lajboshitz e il suo amico aprirono un nuovo negozio nel Regno Unito, stavolta con una joint venture. Il locale promuoveva la vendita di prodotti a 0,99 cent, formula affatto nuova nel Paese, motivo per cui non ottenne un successo immediato. Grazie a qualche investimento e a una buona dose di passaparola, il marchio iniziò a farsi conoscere anche nel Regno Unito, portando all’apertura di altre filiali.
Attualmente, Italia, Spagna e Regno Unito, sono i Paesi che rappresentano i mercati principali di Tiger, che ormai ha conquistato ben 30 Nazioni con più di 900 shops. L’aspetto innovativo e i costi contenuti di prodotti recanti un sigillo di garanzia UE sono la marcia in più dell’intero business. L’aspetto divertente delle merci è pensato per strappare un sorriso anche ai più grandi e quando si chiede a Lajboshitz il segreto del suo successo egli risponde semplicemente:
“Non mi considero un businessman, ma un antropologo. Ascolto molto i miei figli che hanno tra i 18 e i 29 anni, ascolto la gente, viaggio molto. Devo capire quello che succede perché so che devo cambiare ogni giorno. Solo così posso innovare”.
Dal 2012, Lajboshitz è solo il direttore creativo e non più il proprietario dell’azienda di cui ha venduto il 70% al fondo svedese Eqt. Il brand continua ad avere vendite altissime grazie alla sua capacità di collocarsi vicino alla gente e di farla sentire rappresentata con i suoi prodotti.
Dal primo Giugno 2016 Tiger ha cambiato nome e logo per riflettere l’evoluzione dell’azienda. Il nuovo nome “Flying Tiger Copenhagen”, rappresenta il desiderio del brand di sorprendere i propri clienti.
Chi lo avrebbe detto che dei baffi disegnati su una tazza avrebbero riscosso tutto questo successo? La storia di Lennart ci insegna come a volte basti un pizzico di creatività per dare vita a un vantaggio competitivo difficile da eguagliare.
Creato da Silvia Scioscia Santoro