Nella lista della spesa degli italiani compaiono spesso le voci di alimenti come latte, pasta, riso e derivati del pomodoro. Si stima che il consumo annuale pro-capite di ciascun cittadino italiano si aggiri intorno ai 24 kg di pasta, 30 kg di salse e 53 litri di latte.
Le etichette alimentari di questi prodotti sono state regolamentate dal Decreto legislativo del 7 maggio 2018 approvato da Gentiloni e Calenda, che all’epoca ricoprivano rispettivamente i ruoli di Presidente del consiglio e Ministro dello sviluppo economico.
Tale D. Lgs prevedeva la specificazione dell’origine della materia prima sull’etichetta del latte, della pasta, del riso e del pomodoro. Prendendo come esempio una confezione di pasta di semola, leggendo l’etichetta sul lato era possibile scoprire la provenienza del grano utilizzato dal produttore. Era possibile configurare così tre tipologie di risposte: Italia, UE e non UE. Negli ultimi due casi era necessario specificare in dettaglio anche il Paese di provenienza.
L’obiettivo di tale normativa è stato quello di garantire maggiore trasparenza ai consumatori italiani. Secondo le indagini del ministero dell’Agricoltura, il 96% ritiene che sia importante un’etichetta dove sia scritto in modo chiaro e leggibile l’origine dell’alimento base su tutti i prodotti alimentari.
A partire dal 1°Aprile 2020, entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo firmato da Jean-Claude Juncker, ex Presidente della Commissione Europea, abrogando così il precedente Decreto legislativo.
Secondo il nuovo regolamento, i produttori saranno obbligati a specificare in etichetta le informazioni sull’origine dell’ingrediente principale solo in caso siano presenti sul packaging del prodotto riferimenti al luogo di provenienza dell’alimento e questo non sia lo stesso di quello del suo ingrediente primario.
Per esempio, se un pacco di pasta dovesse presentare un simbolo o segno riconducibile alla cultura italiana come il tricolore, il produttore sarà costretto a specificare la nazione della provenienza della materia prima principale.
Tale normativa avrà di certo delle conseguenze sul settore agroalimentare, il quale rappresenta un’eccellenza italiana all’estero. Analizzando in dettaglio i quattro tipi di alimenti più colpiti è possibile osservare come il “mondo dei rossi” valga 3 miliardi e rappresenti il 47% del mercato comunitario. Con 1,50 milioni di tonnellate, la nostra nazione soddisfa il 50% del fabbisogno europeo di riso. La filiera del latte dello Stivale vale più di 15,6 miliardi di euro mentre il fatturato dell’industria della pasta è di 4,7 miliardi di euro.
Oltre a queste quattro tipologie di alimento, saranno coinvolti anche altri prodotti che già presentano etichetta come: cibi confezionati, pesce, frutta e verdura fresche, uova, miele, carne di pollo e di suino e olio extravergine di oliva. Invece, cibi che precedentemente non ne avevano l’obbligo, ora dovranno mostrare l’etichetta. Questo è il caso di salumi, carne trasformata (hamburger), marmellate, fagioli e piselli in scatola e frutta secca.
Il regolamento avrà lo scopo di tutelare le reali eccellenze della nostra Penisola dalla concorrenza sleale: sarà un’arma utile a combattere la pratica dei prodotti Italian Sounding, i quali si fregiano del “brand Italia” senza averne diritto.
Non si può negare che la nuova norma rappresenterà un passo indietro rispetto alle precedenti italiane su prodotti come latte, riso, pasta e derivati del pomodoro. Infatti, non vigendo più l’obbligo di indicare la provenienza si prospetta il rischio che brand consolidati possano approvvigionarsi da Paesi stranieri (magari con lo scopo di abbassare il costo delle materie prime) per la realizzazione di prodotti molto sensibili, diversamente da quanto fatto in passato.
È opportuno affermare che non sempre la provenienza è sinonimo di qualità, ma è anche vero che le normative vigenti nei diversi Paesi sui diserbanti, come il glifosato, cambiano di nazione in nazione. In Italia, l’utilizzo di tale sostanza è limitato alla sola fase successiva al raccolto del grano, mentre in altre nazioni come il Canada e gli USA è possibile sottoporre il grano a questo trattamento sia prima che dopo il raccolto. Dunque, le quantità della sostanza chimica contenute nella pasta avranno delle ripercussioni sulla tipologia di materia prima utilizzata.
In questo momento di cambiamento è interessante osservare come il leader di mercato Barilla abbia scelto di lanciare una nuova linea di pasta di semola prodotta con grano 100% italiano, rinunciando al grano canadese, nonostante non sia più obbligatorio indicare l’origine della materia prima.
La giurisprudenza è una scienza sociale e come tale necessita che si modelli sulle esigenze del consumatore, ma non è facile seguire cambiamenti così repentini legati ai consumi. Pertanto, è importante riconoscere i passi in avanti che sono stati fatti nella regolamentazione delle etichette, ma rimane l’auspicio che si possa continuare in questa direzione per poter continuare a portare trasparenza al consumatore finale.
Creato da Salvatore Ferraro