Conoscete la barzelletta dell’uomo che entra in un caffè? Per forza, è una di quelle cose che non diventeranno mai vecchie.
Chi è invece invecchiato nel giro di pochi minuti è il popolo del web, grazie ad un’applicazione molto particolare e da considerare sotto diversi aspetti. Parliamo chiaramente di FaceApp, l’ormai famosissima app per smartphone scaricabile per iOS e Android e che ha raggiunto gli 80 milioni di download nel giro di pochi giorni grazie al supporto dei social, Instagram su tutti.
Si stenterà a crederci ma l’applicazione è stata sviluppata ben due anni fa, nel gennaio 2017, dalla Wireless Lab, una società russa, ed utilizza l’intelligenza artificiale – e quindi internet – per modificare in modo assolutamente realistico le foto dell’utilizzatore invecchiandolo, cambiandogli il colore e il taglio dei capelli o persino il sesso. Come spiega infatti il CEO e fondatore, Yaroslav Goncharov,
“La nuova tecnologia sfrutta le reti neurali per modificare in maniera realistica il volto nelle foto. Dopo aver applicato il filtro, è ancora la tua foto.”
Come ha fatto a ritrovare la luce, nell’odierno vastissimo oceano delle applicazioni? Sembra che i primi a riportarla in auge siano stati Alejandro “Papu” Gomez, attaccante dell’Atalanta, e Andrea Petagna, attaccante della SPAL, che hanno postato sui rispettivi social foto con il filtro vecchiaia. A ruota, molte altre celebrità appartenenti ai mondi più disparati hanno iniziato a postare foto modificate, inserendo l’hashtag #FaceAppChallenge, ed alimentando la notorietà dell’applicazione.
L’unico punto però che nessuno ha considerato in un primo momento, ma che adesso sta facendo sorgere più di qualche dubbio, è relativo alla tutela della privacy. Infatti, scaricando FaceApp appare un messaggio molto ambiguo che recita
“Ogni foto selezionata per la modifica verrà caricata sui nostri server per l’elaborazione delle immagini e la trasformazione del volto”.
Ma cosa vuol dire questo? Significa che le foto potranno essere conservate sui server dell’azienda proprietaria dell’applicazione, senza però alcuna specifica che dica per quanto tempo e senza la certezza che l’unico fine sia effettivamente quello dell’applicazione dei diversi filtri. Inoltre, non è nota la posizione fisica dei server su cui si poggia la società, in quale paese questi si trovino e quindi sotto quale giurisdizione. Ciliegina sulla torta, il regolamento sulla privacy di FaceApp ha come data quella di sviluppo e immissione sul mercato, il 2017, e non risulta quindi aggiornato con l’entrata in vigore del GDPR, il regolamento generale sulla protezione dei dati. Ancora, come funziona la condivisone di dati con terzi, definiti dalla stessa applicazione come “affiliati e fornitori di servizi”? Nella sezione dedicata all’utilizzo delle informazioni infatti si legge:
“L’applicazione potrebbe condividere i contenuti e le informazioni degli utenti con le aziende che fanno parte del gruppo di società di FaceApp”.
Chi sono queste entità che possono entrare in possesso dei nostri dati?
Le domande sono tante e le risposte, ad oggi, zero. Prestiamo quindi attenzione a chi vendiamo gratuitamente i nostri dati, soprattutto se su un piatto della bilancia ci sono la nostra privacy e la nostra sicurezza personale, mentre sull’altro una moda passeggera portata avanti da persone del mondo dello spettacolo le cui foto sono quotidianamente su riviste, in televisione o sul web.
Certo non ci sono le basi per accusare questa società di trattare le nostre informazioni in maniera illecita, ma sicuramente la gestione della tutela della privacy è risultata alquanto “oscura”. Sarà forse un nuovo filtro?
Creato da Luigi Coppola