Giovedì 14 marzo, il corso in Trade e Consumer Marketing ha avuto il piacere di accogliere Centromarca (l’Associazione Italiana dell’industria di Marca) che associa circa 200 fra le più più importanti imprese nei diversi settori dei beni di consumo immediato e durevole.
Ospiti di rilievo sono anche stati Parmalat, Mutti, Barilla e AGCOM, con importanti testimonianze da studiare come forti prove di quanto sia necessario prestare attenzione allo sviluppo di un marchio solido e pronto a rispondere agli stimoli di mercato; anche quando questo voglia dire sanare i danni prodotti dalla diffusione di “bufale”.
Il tema è caldo, perché le fake news impattano in modo sostanziale sul brand, rischiando di far perdere l’interesse dei consumatori, e consentendo di essere testimoni di come la propagazione di una notizia possa portare una marca al fallimento, nel caso in cui la comunicazione non venga gestita in modo opportuno.
Il focus dell’analisi della marca, come si studia a lezione, passa per la fiducia. Il produttore (ma anche il distributore) costruisce una fitta rete di rapporti con i consumatori, per poter raggiungere i loro bisogni e soddisfarli al meglio: il cliente sa cosa vuole, ed è compito della marca ascoltarlo.
Il tema delle fake news può danneggiare in modo rilevante un marchio. Per generare fiducia occorre molto impegno, ma basta poco per annullarla. Il rischio è l’alterazione della percezione del marchio e, quindi, che si generi una conseguente opinione distorta sul brand; anche dal punto di vista della scelta a scaffale del consumatore.
La crisi è un tema interdisciplinare, ed occorre lavorare in team, prendere decisioni e sedimentare serietà.
Le fake news spesso vengono diffuse attraverso canali con una tracciabilità ridotta al minimo, per impedire ai consumatori di avere la certezza dell’informazione, generando caos, e dissodando i legami di forte relazione coi marchi.
Giuliano Gherri, per Parmalat, ha spiegato il grande ruolo attivo del consumatore, e raccontato dell’episodio della bufala che vedeva il suo latte come di origine cinese, minando la reputazione dei fornitori; per poi soffermarsi sull’importanza di avere contatti con esperti nel mondo della medicina (considerando le accuse al latte di facilitare la formazione di masse tumorali).
Su quali aspetti occorre investire, secondo Parmalat? Risulta opportuno effettuare monitoring, progettare un action plan in modo tempestivo, stabilire muti-touch points, e costruire ambasciatori.
Come invece costruire una solida brand reputation? Parmalat dice qualità, ecosostenibilità, italianità, informazione (al consumatore), controlli, e trasparenza.
Marcello Gelo, per Mutti, ha concentrato l’attenzione sull’efficacia e l’efficienza di un intervento tempestivo nel caso in cui una notizia falsa minacci di ledere gli interessi sia aziendali, sia dei consumatori.
In questo caso, è stato raccontato l’episodio riguardante la fake news sulla passata da 700g (uno dei best seller dell’azienda dei rossi), impropriamente sostituita a delle acciughe in un documento del Ministero della Salute su riscontrate tracce di arsenico. La chiave di risoluzione di questo problema è stata la risposta fulminea sugli stessi canali di comunicazione della bufala, in aggiunta a comunicazioni istituzionali. La valorizzazione di un brand capace di contare su alti standard di sicurezza è stata anche capace di spazzare via il rumor su presunte forniture di pomodoro cinese. Riuscendo a reagire rapidamente, il marchio ha acqisito notevole forza.
Luca Di Leo, per Barilla, ha parlato di disinformazione e di misinformazione.
L’azienda parmense si è scontrata con la bufala di essere di origine americana. Il VP Media Relations & Digital ha spiegato che è difficile gestire le notizie false quando c’è un fondo di vero. Infatti, Barilla ha avuto una piccola parentesi americana, ma la sua origine rimane saldamente legata all’Italia.
Affermando che le fake news hanno molta più visibilità rispetto alle notizie vere, è stata raccontata la bufala riguardante la presunta acquisizione di grano di natura scadente da parte della storica azienda. Barilla ha risposto sottolineando l’attenzione che pone e riserva all’intera filiera produttiva, smentendo ogni rumor.
Maria Luce Mariniello, di AGCOM, ha analizzato le precedenti testimonianze, sottolineando il forte peso dell’hate speech sulla mente del consumatore.
L’osservatorio scannerizza il mercato, offrendo ai bersagli di attività di comunicaione minate alla distruzione di valore soluzioni entro 48 ore. L’avvocato ha precisato di non voler parlare di fake news, sostenendo che è sbagliato proibire il falso, nel caso non si ledano i diritti di qualcuno.
Lo studio adotta approcci di data science e, parlando di fact-checking (del tipo cross check), cerca di rivolgersi a enti terzi per tutelare e diffondere la verità, con lo scopo di rendere il consumatore in grado di riconoscere le bufale.
AGCOM ha messo in evidenza gli ambiti in cui si diffondono maggiormente le bufale: politica, scienze, salute e ambiente, economia. Successivamente, è stata indicata anche la fascia più influenzabile: gli anziani.
L’autorità promuove giornate di formazione, campagne informative, e linee guida. Esistono, infatti, sistemi sofisticatissimi per la generazione di fake news, e non sempre le aziende sono tecnologicamente pronte ad affrontarle.
Si conclude affermando che si dimostra essenziale lo studio della potenziale viralità di una certa news e, quindi, della sua potenziale condivisibiltà.
Creato da Gabriele Avanzi